
Edonismo virtuale e l’azione morente – Andrea Solari
L’Eroe non si accontenta del piacere. Non perché sia un folle masochista, ma nell’azione egli diventa qualcosa che sfugge al sentire ordinario. Certo, in un mondo in cui nessuno osa più stupire e la massa è soltanto il prodotto di un’educazione omologante alla banalità del superfluo e alla genuflessione servile nei confronti del puro piacere, diventa ambizioso parlare di eroi. Come non ricordare Nietzsche quando in Al di là del bene e del male definiva l’europeo “malaticcio” e “mediocre”1 laddove a parer suo non esisteva più la Natura nell’uomo ma soltanto un’idea malsana di mondo a cui tutti si inchinavano.
A distanza di un secolo la coscienza europea è decaduta ancora più in là dell’abisso, nella peggior espressione di essere umano possibile. Siamo divenuti testimoni passivi dell’azione morente, la quale nella sua agonia cede il passo a una nuova figura di individuo: l’automa. Si badi, qui in gioco a parer mio non è la morte di dio ma dell’uomo. Si tratta di un lento processo di formazione che vede l’essere umano programmato attraverso precisi algoritmi cerebrali. Si è educati a produrre pensieri secondo modelli che esaltano la brama di denaro e dei beni materiali. Pronto è l’automa a uscire dal laboratorio sociale istruito a pensare come protagonista del Grande Fratello, sempre pronto a sorrisi di plastica da sbattere su uno schermo. Perché essere forti quando si può far credere di esserlo? Tutta questa felicità da talk show da mostrare ad “altri”, i quali altri sono soltanto fantasmi prodotti dal proprio narcisismo. Oltre che malaticci anche inebetiti, eppure si vuole tendere alla perfezione dell’uomo, al curarlo da tutte le sofferenze derivanti dal vedere irrealizzati i propri propositi consumistici.
È opportuno soffermarci sul significato di questa cura. Il lento processo di deviazione archetipica cui è stato vittima l’europeo nei secoli ci ha condotto fino a una pericolosa perdita dell’anima, causando una voragine vertiginosa nello spirito occidentale. Probabilmente, se l’individuo di oggi regredisse nelle profondità della propria psiche si scontrerebbe con archetipi avvelenati, oltre che depotenziati. Eros acquisirebbe sembianze di un bambino senz’ali e infelice costretto a degradarsi a una banale libido materiale. Il distacco dalla Natura ha generato nel tempo una vera e propria sofferenza mitica, questo perché il mito, essendo sostituito dal pensiero logico razionale, non fissa più specifiche immagini nell’anima. La parola persiste come assenza di contenuto, enfatizzando ancora di più il vuoto interiore e si traduce in un non sentire più il mondo. Così lo spirito si trova smarrito in narrazioni artificiali che nulla hanno a che vedere con il mistero del cuore. Nella società dell’apparenza sono stati prodotti bisogni e piaceri che non solo non appagheranno mai l’anima ma la avvelenano sempre più, per il fatto che una volta soddisfatti non possono che rivelare la loro natura apparente. È nell’azione del cuore che si esprime l’eroe accarezzando il mondo con la propria energia senza mai pretendere nulla da esso. Il cuore è forza, è il mistero che porta ad agire, è dove ogni gesto scaturito dalla sua energia si imprime come vita e dove la più grande ricompensa è sentire la fiducia che la Natura vi ripone. L’eternità non è un fattore psicologico, è un atto dello spirito, una volontà che non trema, non lo spauracchio del perdente.
Per vent’anni siamo stati educati al virtuale per arrivare a non saper più distinguere il reale dal non reale, ed è proprio in questa ambiguità che si insinua l’obiettivo di creare una realtà basata soltanto sul percepito della coscienza. Di conseguenza, è lecito pensare a un mondo alternativo in cui la veridicità della fonte che provoca piacere è totalmente superflua se in grado di provocare sensazioni gratificanti. In questa prospettiva vi è senz’altro il trionfo di una volontà bisognosa, ma di quale volontà si tratta? Una formica può sentirsi come vuole nel formicaio fino a quando non passa il formichiere.
L’eroe è esattamente l’opposto del tipo di uomo contemporaneo amante delle cose facili e senza sforzo. L’intelligenza artificiale rappresenta il dio supremo di questo particolare individuo tutto moderno che predilige l’ozio e il piacere dell’intelletto alla forza dell’azione. Ma da cosa dipende questa involuzione? E se fosse una punizione? Il mito tramanda che solo l’eroe è in grado di sconfiggere la morte, perché la sua azione è pregna di potenza e non di paura. La volontà in grado di elevarsi a tale forza sperimenta l’amore come fuoco invisibile che non può essere mai spento. A tal proposito ritengo molto interessante uno scritto di Arturo Reghini (Pietro Negri) nel secondo volume di Introduzione alla Magia nel capitolo dal titolo “Dell’opposizione contingente allo sviluppo spirituale” dove troviamo scritto:
“Anticamente, del resto, non si pensava ad una legge universale di evoluzione, per la cui virtù ognuno dovesse perfezionarsi, né si faceva dipendere lo sviluppo del singolo da una esaltazione dei valori umani, né consistere, tale sviluppo, nel cambiamento dell’uomo comune in uomo buono e ottimo. Si trattava non di prolungare la fase umana di vita, ma di porvi termine. Perfetto, nel significato etimologico della parola, è appunto colui che ha compiuto, che è giunto alla fine ed alla fine della fase umana; l’iniziazione segna l’inizio di una vita nuova e conseguentemente la fine e non la continuazione ed il miglioramento della vecchia. Perciò non è possibile identificare il perfetto, l’iniziato, con l’uomo dabbene, la cui prerogativa non è la sapienza ma sibbene la dabbenaggine.”2
Questo passo mostra un fatto a mio avviso inequivocabile. Da sempre l’iniziazione sancisce la fine con quel rapporto esclusivo che la coscienza individuale detiene con sé stessa. Non si tratta soltanto di essere dipendenti dai piaceri che il corpo reclama fino a trasfigurare il percepito pur di esaudirne le brame, nemmeno l’idea di una evoluzione dell’uomo in termini di perfezione. La vita è qualcosa che sfugge al nostro ostinato tentativo di esaudire qualsivoglia desiderio, all’ossessivo bisogno di controllare le leggi dell’universo per sentirci salvi e sicuri. Il transumanesimo non determina soltanto la fusione dell’uomo con la macchina ma è anche il progetto di una certa coscienza dominante di rappresentare il mondo come vuole per esorcizzare l’angoscia dell’ignoto.
Simulare un’esistenza appagante grazie alla protesi mentale dell’edificazione virtuale non può essere in grado di tradurre nello spirito la stessa forza proveniente dal mondo fisico. Anzi, l’imitazione del sensibile a lungo andare umilierà l’anima ingannandola, infondendo un senso terribile di impotenza, causando un male senza precedenti. La causa di questa frammentazione è ciò che nell’uomo si definisce intelletto, ossia il bisogno di piegare l’universo sotto leggi di causa ed effetto, che una certa filosofia pretende essere alla base di qualsiasi intendimento umano. Ma l’azione è precedente a qualsiasi legge e nessun mondo alternativo può vantare di evocarne la potenza, proprio perché non possono che essere soltanto una bieca simulazione di ciò che è impossibile riprodurre.
Le speranze artificiali vogliono esaltare le energie che nel mondo antico erano canalizzate attraverso i riti. L’uomo moderno ha sostituito la ritualizzazione con il tentativo di placare le forze attraverso l’edonismo virtuale con la conseguenza drammatica di una lacerazione profonda con la Natura. Ciò che l’uomo compie nei reami artificiali paralizza l’azione inconscia causando disturbi pesanti nella psiche collettiva. Nel virtuale l’azione diviene morente, assorbita nello schermo luminoso per poi rimbalzare indietro morta ma portatrice di un’idea falsa di piacere. Al contrario la mitologia come sapienza tradizionale ci insegna a ritrovare l’azione che gli dèi pretendono! Nel rito aderiamo alla Natura e alla sua bellezza. L’arte antica è la straordinaria applicazione di questo assunto. In ogni luogo si ergeva un altare al bello e al terribile, all’amore e al tragico, perché nell’azione l’uomo esalta le sue più grandi qualità che lo rendono divino.
Ormai tutto al nostro tempo è posticcio, depotenziato, privo di energia vitale. L’arte, la politica e anche le religioni tendono ad assorbire il dramma dell’appiattimento spirituale, dove non si combatte più per nulla e dove trionfa soltanto il mito del potere associato al denaro e l’apparenza senza sostanza. Non c’è da stupirsi che siano proprio questi a reggere il progetto virtuale dell’edonismo più estremo. Per questo ritengo che il tradizionalista debba avere più affinità con l’Achille omerico piuttosto che con l’eroe da tastiera tutto attuale o il paladino della giustizia da centomila like. La tecnologia pur essendo utile e importante non deve violare la sacralità dei sentimenti nel cercare di eliminare il dolore e la sofferenza dalla vita. Questi insieme allo sforzo e alla fatica sono condizioni necessarie in un cammino interiore, così come insegnano la tragedia e i poemi antichi gli uomini non devono mai dimenticare le possibilità che ardono nel cuore, come l’Aiace combattente che difronte al disonore si toglie la vita conficcandosi la spada nel petto. Anche la dea più crudele avrebbe pianto dinnanzi a tale coraggio.
Note:
1 – Friedrich Nietzsche Al di là del bene e del male, Adelphi p. 70.
2 – Introduzione alla Magia, a cura del gruppo di Ur, II Volume p. 292.
Andrea Solari