Il Codice Gigas: la bibbia del diavolo – Luigi Angelino
Il cosiddetto Codex Gigas, traducibile in lingua italiana con l’espressione “libro gigante” è il più grande manoscritto medievale conosciuto al mondo. Le enormi dimensioni dell’opera (92 cm di altezza e 50 cm di larghezza), nonché il suo considerevole peso (70 kg circa) lo rendono un’opera unica, contribuendo ad alimentare intorno ad esso un’aura di arcano mistero. La copertina è in legno pregiato, rivestita in pelle con alcuni ornamenti di metallo, mentre la pergamena utilizzata per le pagine risulta di qualità costosa e rara, tanto che si stima il sacrificio della pelle di almeno 160 animali. Gli studiosi più accreditati sostengono che il Codex sia stato realizzato nel monastero benedettino boemo di Podlazice (1), attualmente nel territorio della Repubblica Ceca, presumibilmente nei primi decenni del XIII secolo. Tuttavia, il prezioso ed enigmatico manoscritto fece parte dell’ingente bottino di guerra dell’esercito svedese durante la Guerra dei Trent’anni (2) e, per questo, viene tuttora custodito presso la Biblioteca nazionale svedese della capitale Stoccolma (3).

L’antico codice è comunemente conosciuto con l’appellativo di “bibbia del diavolo”, per l’originale ed estesa illustrazione del diavolo in esso contenuta, a cui si aggiunge una tradizionale leggenda, secondo la quale il monaco che si dedicò alla sua creazione si sarebbe isolato nella propria cella ed avrebbe composto il manoscritto in una sola notte con l’aiuto dell’astuto demonio. In realtà il racconto è abbastanza articolato: il monaco, infatti, prima di cimentarsi nella difficile impresa, avrebbe violato i propri voti di celibato, subendo la terribile condanna ad essere murato vivo. Al fine di scongiurare un simile supplizio, il religioso promise di elaborare in una sola notte un’opera così gigantesca da poter comprendere l’intero scibile umano. Nel corso della notte, disperandosi per la consapevolezza di non poter adempiere al gravoso compito, si rivolse a Satana affinchè lo aiutasse nel prodigio. Il grande mentitore accorse in suo aiuto, ricevendo in cambio la promessa di prendere l’anima del monaco nel momento della sua morte. Grato per il favore ricevuto, peraltro pagato a caro prezzo, il religioso aggiunse anche un’inedita immagine dello stesso diavolo tra le pagine del manoscritto. Tra gli elementi che hanno influito su tale leggenda, vi è anche il medesimo nome con il quale è noto l’autore del manoscritto, Herman inclusus, ossia “il recluso”, che potrebbe indicare la precitata crudele condanna ad essere murato vivo (4). Di contro, alcuni autori hanno fatto giustamente notare che il soprannome di “recluso” potrebbe verosimilmente derivare da una libera scelta del monaco, come la stessa decisione di provvedere alla redazione del codice, stimata in una durata di almeno due decenni, potrebbe trarre origine dalla necessità di espiare i propri gravi peccati, almeno alla luce della morale religiosa dell’epoca. A tale proposito si precisa che l’aspetto esteriore del manoscritto rimane sostanzialmente invariato dall’inizio alla fine, come lo stesso stile grafologico adoperato dallo scrivano, non evidenziandosi segni di malattia o di cambiamenti di stati d’animo nella mano che ha tracciato un così raro capolavoro di pazienza umana. Questa peculiarità ha alimentato la convinzione che l’opera fosse stata eseguita in un periodo di tempo molto breve, a differenza dell’opinione già citata ed espressa dalla maggior parte degli studiosi, secondo la quale, per la redazione del manoscritto, con i metodi in voga in quell’epoca, anche volendo supporre un ritmo di lavoro fortemente sostenuto, sarebbero stati necessari almeno due decenni (5). Di particolare pregio sono alcune miniature in rosso, blu, giallo, giallo oro e verde che impreziosiscono le pagine del manoscritto, così come l’eleganza di alcuni elementi. Le maiuscole iniziali, ad esempio, sono miniate in maniera precisa e minuziosa, occupando in alcuni casi un intero foglio. Come si può facilmente immaginare, la pagina più famosa del testo è la 577, quella cioè che raffigura il diavolo, preceduta da altri fogli curiosamente anneriti, che conferiscono a quella sezione del manoscritto un aspetto a dir poco inquietante, diverso dal resto del codice. Analizzando l’immagine di Satana, ci accorgiamo subito che essa è condita di tutti gli ingredienti peculiari della visione medievale circa le sembianze del maligno. Si tratta di una figura spaventosa che occupa una pagina intera, con corna, occhi di un rosso vivido ed artigli bestiali. Accanto all’immagine demoniaca, viene rappresentato il paradiso celeste, creando un evidente e voluto contrasto concettuale, teso a simboleggiare l’eterno e mai risolto conflitto tra il bene ed il male, tra la luce e l’oscurità, tra il divino ed il diabolico. Come in altri numerosi manoscritti del basso Medioevo, tali rappresentazioni servivano ad ammonire i peccatori sulle pene dell’inferno, a fronte delle beatitudini del paradiso.
Il diavolo è raffigurato all’interno di un paesaggio “vuoto” e sembra quasi “saltare” fuori dalla pagina. Con il volto verde, la lingua biforcuta ed indossando un perizoma di ermellino fa quasi sorridere assumendo, agli occhi di noi donne ed uomini moderni, una posa caricaturale da fumetto. Ed, invece, è necessario fare attenzione ai particolari del disegno e considerarli coerenti con la visione teocentrica del tempo. Il perizoma di ermellino, ad esempio, è un tessuto associato alla dignità regale. Ciò potrebbe indicare che l’autore avesse l’intenzione di sottolineare che il soggetto raffigurato si identificava con il “principe delle tenebre”, cioè la figura apicale dello schieramento diabolico. Oppure, saremmo tentati di azzardare un’ipotesi alternativa: l’evidenza di tale indumento potrebbe avere un significato più oscuro ed inquietante, attribuendo al diavolo quasi la dignità di “antidio”, o di “signore di questo mondo”, definizione peraltro presente anche in alcuni passi evangelici (6).

Il manoscritto è interamente scritto in lingua latina, anche se al suo interno sono inseriti alcuni commentari agli alfabeti dell’idioma greco, cirillico ed ebraico. Il contenuto del Codex Gigas è molto articolato e, pur non comprendendo realmente l’intero scibile umano come vorrebbe la leggenda, non si limita soltanto alle Sacre Scritture. Oltre alla Bibbia, infatti, nella versione nota come Vulgata (7), tranne gli Atti degli Apostoli e l’Apocalisse di Giovanni, tratti invece dalla Vetus Latina (8), il manoscritto contiene numerosi altri scritti anche su tematiche non meramente religiose. Tra questi si annoverano le Antichità Giudaiche, redatte da Giuseppe Flavio, le Etymologiae composte da Isidoro di Siviglia ed una storia della Boemia attribuita a Cosma Praghese. Ai precitati testi si aggiungono vari trattati di storia, di fisiologia e di glottologia, nonché un calendario che riporta un dettagliato elenco dei santi fino ad allora canonizzati ed una lista dei monaci che vivevano presso il monastero di Podlazicarma. Inoltre, hanno fatto molto discutere alcuni documenti erroneamente indicati come “formule magiche”, ma che in realtà costituivano compendi medici e rimedi che riflettevano le credenze popolari dell’epoca.
Come già accennato in precedenza, il manoscritto è attribuito ad un monaco benedettino sconosciuto, chiamato Herman il recluso, nel monastero di Podlazice, nei pressi di Chrudim, cittadina situata a circa 130 chilometri da Praga. All’interno del codice, il 1229 viene indicato come l’anno in cui il manoscritto sarebbe stato completato. Successivamente fu portato nel monastero di Sedlec e poi acquistato dai religiosi di Brevnov. Gli esegeti hanno stabilito con certezza che il lavoro cominciò dopo il 1204, anno della canonizzazione di San Procopio di Sazava, patrono della Repubblica Ceca, evento già indicato nel manoscritto. Nel 1594 il libro arrivò a Praga per entrare a far parte della preziosa collezione dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo. Nel 1648 il codice fu portato in Svezia come bottino di guerra e fu esposto nella Biblioteca Reale di Svezia a Stoccolma, attirando l’interesse della vivace Cristina I, sovrana dotta ed illuminata. Un incendio divampato nel 1697 rischiò di rovinare il prezioso testo che, per essere salvato dalle fiamme, fu lanciato da una finestra del palazzo, anche se alcune pagine andarono perdute (9). Negli ultimi decenni pressanti sono state le richieste della Repubblica Ceca per ottenere almeno un prestito temporaneo della monumentale opera. Raggiunto un accordo con il governo svedese, che stipulò un’assicurazione di dieci milioni di euro per proteggere l’incolumità del bene, nel settembre del 2007, dopo 359 di lontananza, il Codex Gigas ritornò a Praga, a disposizione della Biblioteca Nazionale Ceca, considerata uno dei centri culturali più forniti d’Europa, dove vi rimase fino al mese di gennaio 2008.

Il Codex Gigas presenta molte stranezze, come si può intuire da quanto abbiamo già esposto. Oltre all’incredibile coerenza della grafia, che mal si concilia con un lavoro che di certo avrà richiesto almeno due decenni di costanti applicazioni, si aggiunge il mistero della mancanza di circa 12 pagine rispetto alla stesura originaria. Alcuni studiosi ipotizzano che questi fogli furono rimossi, in quanto contenevano testi eretici oppure conoscenze troppo all’avanguardia per l’epoca in cui era stato redatto il manoscritto. Altri, invece, sostengono che queste pagine furono consumate dall’incendio del 1697, di cui prima si è parlato. Lo stesso evento spiegherebbe la ragione per cui diverse pagine all’interno del libro siano annerite rispetto al resto del manoscritto, seppure inserite, per pura coincidenza, nella stessa sezione in cui appare la raffigurazione del diavolo. Non vi è dubbio, comunque, che il Codex Gigas sia stato considerato come un’opera miracolosa, proprio per il fatto di essere attribuita ad un solo uomo che avrebbe copiato con fede e saggezza le antiche Scritture, senza neanche commettere un errore. L’autore, pertanto, peccatore o non peccatore, monaco devoto o rinnegato che sia stato, non doveva essere un semplice scrivano esecutore di ordini, ma un uomo di profonda cultura e spiritualità, che conduceva una vita da recluso per dedicarsi giorno e notte alla mirabile opera.
Avviandoci verso la conclusione di questa sintetica disanima, risulta evidente come il Codex Gigas non abbia nulla di realmente demoniaco o che sia legato al variegato mondo dell’occultismo e della magia, come altri scritti di ispirazione satanista che, tuttavia, fioriranno in periodi storici successivi, soprattutto a partire dalla fine del diciottesimo secolo. La leggenda dell’origine demoniaca appare, quindi, una maniera quasi metaforica per spiegarne le dimensioni quasi soprannaturali, diffusa forse anche per accrescere il prestigio del manoscritto. Ancora oggi, il Codex Gigas, la cui esposizione presso la Biblioteca Nazionale di Svezia non è garantita in modo continuativo, a causa della delicatezza dei materiali e dei frequenti lavori di restauro che richiede, suscita la curiosità e l’interesse di studiosi e di visitatori che arrivano da tutte le parti del mondo per ammirarne l’originalità (10). La cosiddetta “Bibbia del diavolo” continua ad affascinare, per la sua straordinaria capacità di unire il passato al presente, riflettendo le angosce escatologiche collettive che fin dall’antichità non hanno mai smesso di turbare e di stimolare l’immaginazione dell’essere umano.
Note:
(1) Attualmente fa parte della città di Chrast, in Repubblica Ceca;
(2) La guerra dei Trent’anni afflisse l’Europa Centrale tra il 1618 ed il 1648;
(3) Si tratta della “Kungliga biblioteket”, traducibile letteralmente in “biblioteca reale”;
(4) Cfr. Richard Dubell, La bibbia del diavolo, Piemme Edizioni, Milano 2009;
(5) Cfr. Richard Dubell, Il testamento di Satana, Piemme Edizioni, Milano 2011;
(6) Cfr. Matteo 4, 8-9; Luca 4, 6-7;
(7) Si tratta della traduzione in latino della Bibbia direttamente dall’antica versione greca ed ebraica, realizzata alla fine del IV secolo da Sofronio Eusebio Girolamo, poi canonizzato dalla Chiesa Cattolica e conosciuto come San Girolamo;
(8) E’ una definizione convenzionale con la quale si indicano le versioni latine della Bibbia elaborate da vari autori tra il II ed il IV secolo, comunque prima della “Vulgata”;
(9) Cfr. note nr. 2 e 3;
(10) Le date, in cui il manoscritto può essere ammirato dai visitatori, sono indicate sul sito internet della precitata biblioteca nazionale svedese con congruo anticipo.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica italiana”. Con la Stamperia del Valentino ha pubblicato varie raccolte di saggi, tra cui “Caccia alle streghe”, “L’epica cavalleresca”, “Gesù e Maria Maddalena”, “Omero e la nascita del mito di Ulisse”, “Di alcune fiabe e di ciò che nascondono”, “Il mondo dei sogni”, “Sulla fine dei tempi” (selezionato per Sanremowriters 2023). Tra i volumi pubblicati con altre case editrici, si segnala il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” (versione inglese “The darkness of the soul”); la trilogia thriller-filosofica “La redenzione di Satana”; il saggio teologico-artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; le indagini su alcuni misteri dello spazio e del nostro pianeta “Nel braccio di Orione” e “Magnifici Misteri”. Il suo ultimo lavoro, pubblicato nel 2025, “Il cuore e la mente”, rielabora in chiave moderna i più importanti miti greci.
