
La questione del Relativismo – Riflessioni dal Teeteto ∗ – 1^ parte – Carlo Marletti
Per iniziare
In questo incontro non sarebbe pensabile affrontare a fondo il Teeteto, opera molto complessa e difficile a tratti da decifrare. A partire da alcuni passi di questo grande dialogo di Platone vorrei piuttosto portare alla vostra attenzione un importante tema filosofico. Si tratta del relativismo diffuso nello spirito del suo tempo, come testimonia buona parte dell’opera di Platone, ma non diffuso anche nello spirito dell’oggi, che presenta più di una somiglianza con quello di quel tempo. Al tema del relativismo ho dedicato alcuni dei miei ultimi corsi pisani di filosofia del linguaggio,1in particolare su questioni attinenti al relativismo della verità e all’elaborazione di una semantica relativista. Per quello che può servire, devo dire che non l’ho fatto perché adepto a convinzioni relativiste, ma per cercare di capire che contributo possono comunque apportare al trattamento di questioni in filosofia del linguaggio, epistemologia e metafisica. Quei corsi e gli attenti studi preparatori mi hanno condotto a ritenere che, almeno su certe questioni, ragionare insieme a impostazioni relativiste può dare buoni risultati. Ho avuto però anche una certa conferma che il relativismo possa essere ragionevolmente tenuto sotto controllo, specialmente quello del demone scomposto targato ‘ora ti faccio vedere io’. Quando l’amico Angelo Tonelli mi ha proposto un incontro su un tema della filosofia antica ho pensato che poteva essere una buona occasione presentare qualche materiale di riflessione sul relativismo – che non vuole essere del genere di un convegno per specialisti– a partire da un archetipo dell’analisi filosofica sul relativismo epistemologico, com’è in buona parte il Teeteto, che lo è oltre tutto per la prima volta nel pensiero greco per quanto di quel pensiero ci è pervenuto. Lo ringrazio quindi per aver favorito questo mio ritorno a un’opera straordinaria, che tanti anni fa avevo pensato di portare – insieme al Trattato di Hume e alla Scienza Nuova di Vico– come testo all’esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. La complessità finì per spaventarmi non poco e mi resi conto che non ero pronto.(Forse anche per questo allora andò tutto bene)- Oggi è un’occasione per tornare su quel grande dialogo, e ne sono francamente felice.
1 – Qualche parola sul Teeteto
2Protagonista principale del dialogo insieme a Socrate è Teeteto, qui ancora in età giovanile. Per il lettore greco del dialogo – che è di diversi decenni successivo all’incontro narrato nel testo, situato nel 399 a.C., non molto prima del processo e della morte di Socrate – l’immagine storica di Teeteto era quella di uno studioso con la competenza intellettuale di un eccellente matematico, ma anche di un cittadino la cui probità sociale era testimoniata dal suo sacrificio in guerra per la città. Quel giovane era comunque anche figlio del suo tempo, nel quale è stato accompagnato ‘quasi naturalmente’ ad aderire a un contesto culturale dove circolava con prepotenza un corpus di diffuse istanze in vario modo relativiste riguardo a temi e questioni centrali dell’orizzonte filosofico, riguardanti l’epistemologia, l’ontologia, l’etica, la filosofia politica, ecc. Si tratta naturalmente del contesto animato dai Sofisti, che hanno avuto Protagora come loro grande e insuperato maestro. Quell’orizzonte relativista e il ruolo di Socrate nel dialogo sono ben delineati nella citazione seguente dall’ottimo testo dedicato qualche anno fa al Teeteto da David Sedley (TheMidwifeofPlatonism,2004).3
«[Il contributo di Socrate] sta nel portare alla luce il fondamento della metafisica Platonica tramite l’esposizione delle contraddizioni intrinseche in quella che ai suoi giorni era la tradizione prevalente. Che quella tradizione fosse dominata agli occhi di Platone soprattutto dal credere alla relatività e al flusso è quanto emerge non solo dal Teeteto, ma anche già dal Cratilo. Platone vede in Socrate l’oppositore a entrambe quelle correnti del pensiero Presocratico [Protagorea ed Eraclitea], un oppositore che insiste su verità assolute e stabili nel suo prediletto dominio di indagine, l’etica, nonostante non sia ancora presente quella metafisica della trascendenza che avrebbe sostanziato le sue intuizioni chiarendo come i valori possano non sottostare al cambiamento. Ciò dato, Platone coglie naturalmente al volo l’opportunità offerta dalla prima parte del Teeteto per mostrare come e perché Socrate abbia abbandonato non solo l’approccio empirista alla conoscenza tipico dei Presocratici…ma anche le assunzioni di pervasiva instabilità e relatività che vedeva aver altrettanto dominato la tradizione precedente».
Su Socrate è importante tener presente questo punto: il Teeteto è un dialogo di apertura della terza ed ultima fase del pensiero di Platone, preparatorio all’ascesa verso la metafisica della trascendenza, della quale avvia il cammino seguito dal Sofista e dal Politico. Nel dialogo Socrate è ancora protagonista, ma ben presto il suo ruolo centrale verrà meno. Proprio nel Teeteto, però, come fosse un luminoso congedo, la missione maieutica di Socrate è quasi cantata da Platone, come mai in altre pagine. Il termine inglese midwife che compare nel titolo del libro di Sedley significa levatrice [µαιa] ed è proprio in analogia all’arte della levatrice che all’inizio del dialogo Socrate, figlio della µαιa Fenarete, presenta la sua arte maieutica e propone a Teeteto di esercitarla su di lui: simile ad una levatrice che, solo quando ormai sterile, esercitando la sua arte può far venire alla luce un bambino, così anche Socrate pur sterile di sapienza esercitando la sua arte maieutica, ricevuta con dono divino, può far venire alla luce in un essere umano, soprattutto se giovane, numero se e di importanti conoscenze (Teet., 150 c–d).4
2 – La questione principale
Come accennato, l’introduzione di Teeteto nel dialogo porta con sé da protagonista un diffuso corpus di concezioni relativiste, rappresentate in particolare da figure eminenti come quella del sofista per eccellenza, Protagora, e sullo sfondo come vedremo quella imponente di Eraclito. In particolare Platone assegna qui a Teeteto, in ragione della sua adesione a quel corpus, la responsabilità di di chiarirne un aspetto, sotto la pressione iniziale di Socrate: che cosa si ritiene in quel corpus che sia έπιστήμη. Una domanda che possiamo tradurre nel nostro vocabolario corrente, formalizzarci troppo, in qualcosa come: che cosa si ritiene in quel corpus che sia il sapere, la conoscenza, la scienza di ciò che è. La pronta risposta di Teeteto apre tematicamente il dialogo e getta una prima luce diretta su quel corpus:
(Teet) έπιστήμη è αίσθησις: episteme è percezione. (Teet., 151e3)
Una risposta che ha tutta l’aria di una tesi empirista, si dirà, in sé certamente non relativista. Tutto vero, ma Platone sa molto bene quel che fa, e Socrate prontamente identifica (Teet) con l’adagio per eccellenza di Protagora, quello dell’uomo-misura – il più luminoso tra i pochi resoconti del suo pensiero giunti fino a noi. In questo modo l’accostamento tra (Teet) e il relativismo fa subito capolino:5
«SOCR. C’è la possibilità che la tua definizione di conoscenza non sia banale, anzi anche Protagora sosteneva la stessa cosa. In effetti, esprimendosi in un altro modo, egli affermava esattamente le stesse cose. Dice infatti, se non erro, che “di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono come sono, di quelle che non sono come non sono”. Lo hai letto ovviamente?
TEET. Certo che l’ho letto e spesso.
SOCR. Non sostiene grossomodo che le cose prese singolar- mente come a me appaiono così anche per me sono, e come a te appaiono così anche per te sono, appartenendo tu ed io alla categoria uomo?
TEET. Infatti, dice proprio così» (Teet., 151e9 – 152a9).
La mossa che Platone assegna a Socrate è chiara e abile: il tragitto della percezione è qui presentato in quanto apparire della cosa all’uomo, dove come la cosa in questo apparire si manifesta all’uomo è come la cosa è per l’uomo. Il giovane Teeteto è ben felice di confermare che (Teet) non si differenzia da quella protagorea dell’uomo-misura, così il quadro relativista si fa subito protagonista, come vedremo tra poco. Prima però qualche parola per precisare meglio quel che è in gioco nelle parole di Socrate. Cominciamo tenendo conto del fatto che l’uomo-misura è qui chiamato in causa nel contesto di una sua corrispondenza con la tesi (Teet). Nella tesi una protagonista è έπιστήμη, la cui articolazione è logica, è quella di un sapere che qualcosa è così e così, un sapere con un’articolazione proposizionale. La sua corrispondenza con αίσθησις, sancita da (Teet), vin- cola la percezione alla medesima articolazione proposizionale. Dunque: se έπιστήμη di qualcosa è conoscenza che una certa cosa è così e così, allo stesso modo αίσθησις di qualcosa è percezione che una certa cosa è così e così.
La voce verbale greca nel testo, trattata nella traduzione precedente con ‘appaiono’, è ϕαινϵται, strettamente della stessa famiglia di quel ϕαινoµϵνα che compare nel famoso frammento 23a di Anassagora, col quale del suo appartamento ad Arcola il nostro Angelo ha voluto adornare un gradino di ingresso, in greco maiuscolo, e che mi fa buona compagnia quando vado e vengo dal mio studio lì a due passi:
oπσις των αδήλων τα ϕαινoµϵνα
squarcio di ciò che è invisibile i fenomeni
In un quadro semplicemente empirista – prendiamo ad esempio quello classico dell’empirismo inglese (Locke, Hume, ecc.) – la tesi centrale è che non vi è conoscenza che non sia riconducibile ad esperienza percettiva, in base a capacità delle quali è dotato un soggetto umano in generale. Apparentemente, leggendo con le migliori intenzioni l’inciso ‘appartenendo tu ed io alla categoria uomo’, potremmo pensare che l’autorità in grado di garanti- re che ‘come ad essa le cose appaiono così anche per essa le cose sono ‘ sia nell’uomo-misura protagoreo la categoria ‘esperienza percettiva umana’.
Ma le cose non stanno così con Protagora e due passi del Teeteto ce lo fanno vedere da vicino, come ha ben sottolineato Maria Baghramian nel suo bel libro di qualche anno fa, che ripercorre le vicende principali del relativismo dalla discussione nel Teeteto ai giorni nostri:6
«SOCR. Orsù, interroghiamo in questo modo Protagora o chiunque altro tra coloro che affermano le stesse dottrine. “Di tutte le cose è misura l’uomo”, come sostenete, Protagora, bianche, pesanti, leggere, insomma nessuna delle cose di questo tipo esclusa. Dal momento che possiede in se stesso il criterio relativo ad esse, ritenendo che siano esattamente come le prova, crede anche che siano per lui vere e autentiche.» (Teet., 178b2-7)
In questo passo, ci dice Baghramian, ‘l’uomo’ sembra essere «il singolo agente che ha conoscenza diretta e autorità su ciò che crede essere vero o falso», ma Platone «ne estende la portata sino ad includere tanto lo Stato che l’opinione di massa»,7 quando argomenta nel modo seguente:
«SOCR. E così anche per le questioni politiche: le cose belle e brutte, giuste e ingiuste, pie e non, quali ciascuna città, in base alle proprie convinzioni, stabilisca come norme per se stessa, queste in verità sono anche per ciascuna, e in questo ambito non c’è nessuno più sapiente, né un privato cittadino nei confronti di un altro privato cittadino, né una città nei confronti di un’altra città.» (Teet., 172a1-5)
Una distinzione in questo senso è stata operata una trentina di anni fa da Gail Fine tra Protagorismo Stretto e Protagorismo Largo nel trattamento riservato da Platone a Protagora:8
«Asserti di ‘appare’ possono essere usati in contesti relativi ad apparenze percettive (es. Appare rosso a me). Ma possono anche essere usati in contesti relativi a ciò che uno è incline a credere su un tema qualunque (es. L’argomento mi sembra corretto)… In base al Protagorismo Stretto, ogni cosa è, per una persona, nel modo in cui questa la percepisce essere. In base al Protagorismo Largo, ogni cosa è, per una persona, nel modo in cui questa è incline a pensare che sia… Il Teeteto prende in considerazione sia il Protagorismo Stretto che quello Largo.»
Ciò fissato, torniamo al punto di partenza, che come si vede è la discussione del Protagorismo Stretto, quello ‘percettivo’, ed è opportuno fare un passo indietro a un famoso passo del Cratilo dedicato da Platone al relativismo di Protagora:9
«SOCR. Suvvia, Ermogene, vediamo se anche le cose che sono ti sembra stiano in tal modo, vale a dire che la loro essenza sia in modo privato per ciascuno, come diceva Protagora affermando che “di tutte le cose misura” è l’uomo – e cioè che quali le cose appaiono [essere] a me, tali siano per me e quali appaiono a te, tali siano per te – o, se ti pare che esse da se stesse abbiano una qualche stabilità di essenza?
ERM. Già una volta io stesso, Socrate, trovandomi in difficol- tà, fui trascinato proprio verso ciò che afferma Protagora ma non mi pare affatto che le cose stiano così.» (Crat., 385e4 – 386a7)
Dopo qualche ulteriore scambio dialettico ecco l’approdo di Socrate:10
«SOCR. Se dunque né per tutti tutte le cose sono allo stesso modo insieme e sempre, né per ciascuno in privato è ciascuna cosa, allora è chiaro che le cose sono esse da se stesse in possesso di una qualche stabile essenza, non relative a noi né da noi tratte in su e giù per l’immagine che ne abbiamo, ma in se stesse in relazione alla loro essenza in possesso di un loro proprio modo di essere già predisposte.» (Crat., 386d 8-e4)
In questo passo del Cratilo la concezione che viene respinta da Socrate, pre- sentata come una conseguenza ovvia dell’uomo-misura di Protagora, è che l’essenza delle cose “sia in modo privato per ciascuno”, ed è questa conseguenza per Platone che deve essere revocata da una corretta filosofia a favore della “stabilità di essenza”, ossia dell’essere le cose “in se stesse in relazione alla loro essenza in possesso di un loro proprio modo di essere già predisposte”.
Considerazioni come queste faceva una volta bastare Platone ai suoi at- tori dialogici – non solo a quelli meno preparati come il povero Ermogene del Cratilo ma anche al suo ben più addestrato Socrate – in fatto di difesa dal relativismo, come se quei costanti richiami alla necessità di ammettere ‘stabili essenze’ delle cose fornissero già da soli la base di una critica efficace. Una strategia ora da rivedere per Platone, come mostra nella prima parte del Teeteto assumendo l’onere – in tema di έπιστήμη – di una sfida più a fon- do e capace di ‘mettere a nudo’ di quel relativismo la sua stessa struttura concettuale.
3 – Verità relativa
Consideriamo ora il seguente schema per la tesi (Teet), dove x è un oggetto di percezione e F una qualità percepibile:
(Teet*) S sa che x è F se e solo se S percepisce che x è F.
Come sappiamo, pieno significato a questa tesi è dato per Socrate dalla dot- trina protagorea dell’uomo misura. Dato che la clausola di destra in (Teet) è scambiabile con ‘x appare F a S‘, abbiamo:
(Teet*’) S sa che x è F se e solo se x appare F a S.
Presa di per sé la tesi è fin troppo ovviamente un buco nell’acqua dove galleggia il famoso legnetto di Cartesio in piena Meditazione:
- Il legnetto appare spezzato a S.
Così da (Teet*’) e (1) segue subito
- S sa che il legnetto è
Si trattava però di un effetto distorsivo della visione, il legnetto risulta invece bello intero. Prendiamo l’amico S′ di S che gli sta vicino ed è perfettamente attrezzato ad affrontare l’illusione del legnetto di Cartesio. In questo caso S′ condivide con S un analogo di (1):
(1’) Il legnetto appare spezzato a S′, ma non abbiamo per S′ un analogo di (2):
(2’) S′ sa che il legnetto non è spezzato.
Alla fine in virtù della fattività di έπιστήμη, restiamo con:
- Il legnetto è spezzato e non
Cattive notizie per la tesi (Teet)? Non siamo ancora e tanto facilmente a questo punto. La sfida del relativismo non è così banale e non occorre dire che Platone lo sa benissimo.
Ma c’è dell’altro. Se quello precedente era il problema del sapere diverso da congruenza delle apparenze, c’è anche il problema del sapere diverso da conflitto delle apparenze. A proposito del tè servito dalla stessa teiera ai soliti noti, possiamo avere:
- Il tè appare caldo a S
(3’) Il tè appare freddo a S′.
Naturalmente (Teet) ci conduce, a proposito dello stesso tè, a conseguenze non meno desolanti di (2)-(2’):
- S sa che il tè è caldo (4’) S′ sa che il tè è freddo
e così dobbiamo constatare a proposito del tè offerto ai nostri eroi che:
- Il tè è caldo e
Sta di fatto che dovunque ci giriamo sembra che per colpa di (Teet) finiamo per trovarci con contraddizioni e incompatibilità. Platone ci viene però incontro – con grande estro (accompagnato da una certa dose di malignità, come vedremo) – offrendoci una magnifico modello per la tesi Teeteto-Protagora – cioè (Teet) + uomo-misura -, che assicura in un colpo solo l’infallibilità di αίσθησις e un universo eracliteo del flusso del divenire – in breve, ‘uni-flux ‘ – nel quale la tesi trova una realizzazione ed è, quindi, interpretata proprio in un senso analogo a quello inteso in quella che oggi si chiama teoria dei modelli. In effetti, se nelle considerazioni precedenti immettiamo il principio di infallibilità della percezione, la tesi Teeteto-Protagora riprende vigore eliminando lo scarto tra αίσθησις e έπιστήμη, nel modo seguente. Tutte le apparenze degli esempi precedenti sono autenticate come vere in uni-flux relativamente ai dati attori di percezione così da rispettare il vincolo fattivo di έπιστήμη. Sono insomma tutte casi di έπιστήμη, senza contraddizioni o incompatibilità. L’esigenza cui deve rispondere questo modello è in fondo già pre-indicata da una osservazione che Platone affida a Socrate sul finire del Cratilo:11
SOCR. Come, dunque, può essere qualcosa quel che non sta mai allo stesso modo? Se infatti sta fermo una volta allo stesso modo, è chiaro che almeno in quel tempo non si trasforma; ma se sta sempre allo stesso modo ed è lo stesso, come può mutare o muoversi, non allontanandosi per nulla dalla sua idea?
CRAT. In nessun modo.
SOCR. Ma quindi non può nemmeno essere conosciuto da nessuno. Infatti nel momento in cui chi intendesse conoscerlo gli si avvicinasse, diverrebbe altro e di altro genere, cosicché non potrebbe più essere conosciuto quale è o in che modo sta: senza dubbio nessuna conoscenza conosce quel che conosce, se esso non sta in nessun modo.
CRAT. È come dici.
SOCR. Ma neppure è verosimile dire che ci sia conoscenza, Cratilo, se tutte le cose cambiano e nulla permane. (Crat., 339e1 – 340a7)
Non è troppo difficile tradurre queste considerazioni di Platone nel Cratilo, più antiche quindi rispetto al Teeteto, nell’idea di base del modello uni-flux. Le considerazioni con le quali abbiamo aperto questa sezione mettevano in luce i problemi che incontra la tesi di Teeteto di episteme come percezione se le si richiede di rendere conto di un universo di stabilità, costituito da attori umani, oggetti, sostanze, proprietà, relazioni, e così via, tutte entità in qualche modo temporalmente stabili, interrogabili riguardo a ciò che sono e, nel caso, alla loro ousia (essenza).Il modello uni-flux verifica precisamente le grandi perplessità manifesta- te da Socrate in queste battute finali del Cratilo, restituendo però questa volta una descrizione accurata dell’universo cui mette capo la teoria Teeteto- Protagora in versione Protagorismo Stretto – quella teoria riservata (nella finzione platonica) agli adepti. Vale la pena riportare qui la voce di Socrate: 12
«SOCR. Dunque percezione, in quanto è conoscenza, si riferisce sempre a ciò che è e non può cadere in errore.
TEET. Così pare.
SOCR. Ma allora… Protagora era davvero onnisciente, ma mentre di fronte a noi, volgare moltitudine, ha esposto questa dottrina in forma enigmatica, ai suoi allievi in segreto dicendo la verità?
TEET. Che cosa intendi dire, Socrate?
SOCR. Te lo dirò, e non si tratta di una concezione di poco conto: nessuna cosa è in se stessa una, e non si può ascriverle qualcosa in modo corretto né un qualsiasi predicato, ma se la si definisce grande, appare anche piccola, se pesante appare anche leggera, e analogamente per tutte quante le determinazioni, dal momento che non c’è niente che sia uno, determinato e in posses- so di un qualsiasi attributo; invece tutte le cose che diciamo che sono, esprimendoci in modo non corretto, si originano in realtà a partire dalla traslazione, dal movimento e dalla mescolanza reci- proca, poiché nulla è mai, ma diviene sempre. E su questo punto tutti i sapienti, uno dopo l’altro, con la sola eccezione di Par- menide, sono d’accordo: Protagora, Eraclito, Empedocle, e tra i poeti i massimi rappresentanti dei due generi, ossia Epicarmo della commedia e Omero della tragedia, il quale sostenendo che
Oceano padre degli dei e la madre Teti
ha affermato che tutte le cose sono prole del flusso e del movi- mento. O non ti sembra che dica questo?
TEET: A me sì.» (Teet., 152d 1-e10)
Vediamo più da vicino che cosa significano queste parole di Socrate che in qualche modo riassumono i caratteri fondamentali dell’universo caratte- rizzato dal modello uni-flux della teoria Teeteto-Protagora. Come osserva giustamente Sedley:13
«Nulla è qualcosa in sé, in quanto non ci sono né (i ) determinati soggetti né (ii ) determinati predicati di cui si possa parlare (non li si può correttamente chiamare (i ) una cosa così e così o (ii ) un genere così e così; 152d 3-4). Anche ‘essere’ è una parola fuorviante, che deve essere proscritta, perché le cose solo ‘divengono’, grazie al “movimento, al cambio, e alla mescolanza reciproca” (152d 7-e1) … Qualunque pretesa che queste figure siano auto- revoli è ironica, ma non ci sono ragioni forti per dubitare che Socrate assuma realmente che abbiano sostenuto che le cose sono fondamentalmente fluide – in altre parole, che creda realmente che una visione del mondo come intrinsecamente instabile sia la tradizione dominante.» Un passo essenziale in questo senso nel modello è l’interpretazione di un con- tenuto percettivo in un prodotto privato 14 dell’interazione tra una modalità percettiva e un moto esterno.15
«Socrate si propone di fondare il soggettivismo percettivo di Protagora su una teoria generale del movimento, che possa appunto costituire il quadro ontologico entro cui incorniciare tale posizione. Dopo l’assunzione di partenza relativa al mobilismo universale… vengono individuate due specie di movimento, l’una attiva e l’altra passiva; dall’incontro tra di esse si genera un numero infinito di processi, i quali risultano però riconducibili a due serie gemelle (didyma), quella relativa a ciò che viene percepito (aisthetòn), ossia alla qualità sensibile (ad es. bianco), e quella relativa all’atto percettivo (aisthesis), vale a dire all’evento istantaneo (ad es. il vedere) nel quale la qualità percettiva diventa tale per il percipiente (e solo per lui). L’idea fondamentale… è che le componenti fondamentali dell’evento percettivo rappresentano fattori interdipendenti, in quanto ciascuna di esse non può essere considerata come un fattore autonomo. Il principio della correlatività vale tanto per il rapporto tra agente e paziente… quanto per la “coppia di gemelli”, cioè per la percezione e la qualità percepita. In effetti il processo di formazione delle realtà, ossia dei fenomeni percettivi, può venire descritto in questi termini: “tutte le cose vengono generate in coppia all’interno di eventi interattivi, e per ogni coppia della forma [A,B], la quale è costituita dalla qualità percepibile A e da uno stato percipiente B, vale il principio per cui A e B sono causalmente dipendenti l’uno dall’altro”… La descrizione dell’evento percettivo e in particolare il suo inquadramento all’interno dei principi generali della teoria del movimento universale conducono inevitabilmente alla assunzione di un’epistemologia infallibilistica, perché concepiscono ogni evento percettivo come un unicum irripetibile, il quale rappresenta uno stato “reale” (e dunque “vero”) del mondo».
Come ha opportunamente sintetizzato Sedley:16
«Gli oggetti immediati della nostra sensibilità percettiva non sono cose che si trovano da sempre là nel mondo, in attesa che noi le rileviamo. Esse piuttosto diventano, privatamente per noi, al momento del nostro incontro con le cose».
Allo stesso modo diviene incessantemente il percipiente:17
«Perciò io non sarò percipiente in questo modo rispetto a nessun’altra cosa, perché diversa è la sensazione di una cosa diversa, ed essa rende diverso e altro colui che percepisce.» (Teet., 159e8-10)
In conclusione:18
«… sono cambi nel mio stato percettivo che fanno di me un percipiente differente, cambi in proprietà percepite di un oggetto che ne fanno un oggetto differente. E questi cambi consisteranno essi stessi in relazioni mutevoli tra percipienti e loro oggetti. In un mondo del genere, se qualcosa c’è al di là delle relatività stesse, possono essere solo i cambi di luogo da cui dipende il cambio percettivo stesso delle relatività. E anche i cambi di luogo potrebbero essere considerati altrettanto perfettamente come puramente relativi, in base all’assunzione che non ci sono coordinate spaziali assolute ma proprio solo posizioni relative a entità limitrofe. In breve, Socrate ha costruito un’ontologia di proprietà percepibili e percezioni in costante cambio, che esclude ogni ulteriore entità (particelle, elementi, forze, ecc.; forse anche lo spazio) che si potrebbe ritenere sottostante a questi cambi».
Note:
- Questo è il testo di una conferenza che ho tenuto a Sarzana il 3 giugno 2025 in apertura del Festival Mythoslogos – Festival della Sapienza,su gentile invito del suo infaticabile curatore, l’amico Angelo Tonelli, che ringrazio di cuore non solo per aver pensato a me in questa occasione, ma soprattutto per la ricchezza e profondità tematica che il festival sa offrire ogni anno alla partecipazione di un pubblico vasto quanto appassionato, che comprende anche moltissimi giovani.
1Al Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università degli Studi di Pisa.
2Uno schema generale delle più importanti opere di Platone e la loro distribuzione nelle tre fasi di sviluppo del suo pensiero filosofico si trovano, per semplice comodità del lettore, nella Appendice finale.
3Sedley[27]:49.
4Platone[26]:239/241.Con«[26]:239/241»siintendecheilriferimentoèallepagine 239e241dellatraduzione[26]delTeeteto,chenonsonocontigueperl’intromissionedel testo greco a p.240; analogamente negli altri casi.
5Platone[26]:247.
6Baghramian[1]:19. A questo proposito Baghramian sulla versione ‘individualista’ ritiene che«la tesi di Protagora abbia più in comune con le concezioni soggettiviste moderne che con il relativismo» (ib.), ma ho qualche dubbio che sia così.
7Ivi:20.
8Fine[15]
9Platone[23]:9.
10Ib.:11.
11Platone[23]:141,143.
12Platone[26]:251, 253.
13Sedley[27]:39-40.
14Teet.,154a2.
15 Platone [26]: 270-271, n. 96.
16 Sedley [27]: 42.
17 Platone [26]: 289.
18 Sedley [27]: 47.
(continua)
Carlo Marletti,
professore presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, Università degli Studi di Pisa.