Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti – Riccardo Rosati
Genere: drammatico/fantastico
Nazione: Thailandia/Germania/Francia/Spagna
Anno produzione: 2010
Durata: 114’
Regia: Apichatpong Weerasethakul
Sceneggiatura: Apichatpong Weerasethakul
Cast: Thanapat Saisaymar, Jenjira Pongpas, Sakda Kaewbuadee, Natthakarn Aphaiwonk, Jeerasak Kulhong, Kanokporn Thongaram
Produzione: Apichatpong Weerasethakul, Kick the Machine
Distribuzione: BiM Distribuzione
Uomo, natura, morte
Affetto da insufficienza renale cronica, lo Zio Boonmee ha deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni in campagna, circondato dai suoi cari. All’improvviso, il fantasma della defunta moglie torna da lui per assisterlo, e il figlio scomparso gli riappare in forma non umana. Riflettendo sulle cause della malattia che lo ha colpito, Boonmee attraversa la giungla con la famiglia sino a una misteriosa caverna in cima a una collina, il luogo di nascita della sua prima sposa.
Quando gli spiriti sono ancora di casa
Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (“Lung Bunmi raluek chat”) ha vinto la Palma d’Oro come miglior film al Festival di Cannes. Tutta la vicenda ruota attorno al concetto buddhista della trasmigrazione dell’anima tra esseri umani, piante, animali e spiriti. Dunque nella pellicola ritorna con forza il rapporto tra il Buddhismo e la Natura: rammentiamo che in Thailandia si segue la Dottrina Theravāda, molto più rigida e ascetica delle altre scuole presenti nel resto d’Oriente. La storia di Boonmee racconta anche del fondamentale legame uomo-animale, nonché della complementarietà delle loro esistenze. L’opera è stata concepita all’interno del Primitive Project, ambientato nella provincia di Isan nel Nordest della Thailandia, raccogliendo diverse opere (oltre al film in questione) che ruotano intorno al tema della memoria, attraverso il lavoro svolto con gli adolescenti del villaggio di Nabua.

Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti è una storia che non manca certo di lirismo, né di intelligenza. Tuttavia, questa pellicola non si limita a essere un bucolico affresco di una pur meravigliosa campagna. Difatti, la narrazione fa più volte riferimento ai problemi odierni della Thailandia, col suo crescente nazionalismo e ricorrenti colpi di Stato militari. Il regista affronta ciò “accompagnando” lo spettatore in un mondo quasi magico, il film sembra in più occasioni un documentario onirico, dove verità e finzione si alternano senza sosta. Pertanto, l’opera di Apichatpong Weerasethakul risulta anche in parte utile al pubblico occidentale per conoscere aspetti distintivi del Popolo Siamese. A dir la verità, il personaggio stesso di Boonmee è l’allegoria di un qualcosa che va gradualmente sparendo, eroso da una contemporaneità globalizzata, dove le case di legno, i vecchi teatri, e un ritmo di vita cadenzato non trovano più posto nella società attuale, nella quale tutto è isteria e frenesia, grida senza mai un sussurro, invidia e tanta, troppa frustrazione.
Trattasi di un misto tra commedia e dramma, una specie di “epopea animista”, narrata per mezzo di uno stile essenziale, con inquadrature fisse, la pressoché totale assenza della colonna sonora e gli attori che recitano sottovoce come avviene in determinate opere intimistiche del teatro giapponese contemporaneo. Il verde impenetrabile della foresta è l’unico vero elemento vitale, giacché per il resto siamo testimoni di un continuo e sobrio ragionamento sulla morte e la malattia. Il tutto però viene interrotto da una violenta cesura in finale di storia, dove irrompe la città, sebbene anche essa presentata con lo stesso tono ovattato che caratterizza un film non per palati comuni.
In definitiva, la si può sicuramente considerare una operazione artistica assai interessante sotto il profilo psicologico. Il ritmo un po’ troppo soporifero di alcune parti della narrazione può sembrare a tratti noioso, benché non vengano mai a mancare gli spunti di riflessione. Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti si attesta quale una pellicola enigmatica, sin troppo chiusa nel concetto di vita e di aldilà, lasciando il pubblico talvolta “solo”. Chi è a digiuno di cose orientali troverà difficile apprezzare completamente una trama che mostra quanto il materialismo occidentale non abbia nulla a che fare con la spiritualità che sta alla radice delle società asiatiche; tradizionali per vocazione.
Riccardo Rosati
