I Rosa+Croce quale archetipo dell’esoterismo occidentale – Umberto Bianchi
A-Khrid: la filosofia e la pratica dello Dzogchen tibetano – 2^ Parte – Luca Violini
7. L’introduzione allo Stato Naturale, la natura primordiale e illuminata della mente
È in questo terzo stadio di “shine” che nell’A-Khrid si viene introdotti allo Stato Naturale da parte del Maestro. In generale gli insegnamenti, quindi in particolare anche quelli Dzogchen, non sono altro che delle introduzioni; ci sono tanti diversi testi di Dzogchen, ma possiamo dire che, il loro obiettivo principale è quello di introdurre il praticante alloStato Naturale della mente, lo Dzopa Chenpo stesso (la Grande Perfezione). Se qualcuno viene introdotto a questo stato grazie all’insegnamento Dzogchen, l’obiettivo dell’insegnamento stesso è raggiunto. Non pensi che il maestro faccia sempre la stessa cosa, perché ci sono tanti tipi diversi di introduzione; in genere nello Dzogchen è difficile riuscire a fare una introduzione diretta tramite le parole, gli esempi o i riferimenti aitesti, ma certamente questi possono aiutare ad introdurre lo Stato Naturale. Quando giunge il momento, il maestro Dzogchen può svolgere l’introduzione in tanti modi, utilizzando i suoi diversi aspetti; in questo testo del’A-Khrid, il Maestro per introdurre il discepolo e consentirgli l’esperienza del “rigpa” utilizza delle pratiche per imbrigliare il “rigpa” all’interno del canale centrale, il canale energetico più importante. Vi sono differenti tipi di “prana” ognuno dei quali scorre in specifici organi e canali. Il“prana” più importante è quello della Saggezza che scorre all’interno del canale centrale. Nel primo momento di ogni esperienza, prima che sopravvenga una qualsiasi analisi concettuale, giudizio o reazione esiste unicamente una pura percezione, senza dualità: il “rigpa”. Il “prana” coinvolto in questo puro sperimentare è il “prana” della Saggezza primordiale, l’energia sottostante l’esperienza del “rigpa”. Secondo lo Dzogchen pertanto, prima di entrare nell’azione, abbiamo sempre un breve lampo di esperienza pura, di cui però non siamo coscienti. Il metodo per divenire consapevoli descritto nel testo comprende delle visualizzazioni, uno specifico sistema di respirazione e alcune particolari posizioni. Quando questa pratica viene eseguita correttamente, tutti i pensieri impuri svaniranno ed appariranno invece la purezza e la chiarezza della mente; inoltre tutti i pensieri ordinari che sorgeranno mentre si è in questo stato non perdureranno, ma appena sorti si dissolveranno immediatamente e spontaneamente nello Stato Naturale. In questo modo si sperimenterà unicamente il puro, nudo Stato Naturale, dove “nudo” significa che non è disturbato e influenzato da alcun pensiero o attività mentale.
La nube dei pensieri scomparirà e la saggezza sorgerà chiara, senza essere coperta da alcun oscuramento; l’esperienza che naturalmente risiede in tutti gli esseri senzienti, la saggezza auto-originata, apparirà per un attimo, così come il sole che appare attraverso le nuvole che offuscano il cielo. Quando il cielo è nuvoloso, infatti, ad un tratto le nuvole possono aprirsi mostrando il sole, scintillante in tutta la sua purezza, per poi richiudersi ed offuscarlo nuovamente. Allo stesso modo, all’inizio della pratica di questa tecnica si può sperimentare in modo molto chiaro lo Stato Naturale per un po’, ma poi sarà immediatamente disturbato dal sorgere dei pensieri; nel mentre siete in questo momento di Stato Naturale, vi sentirete chiari, trasparenti, vuoti, senza essere disturbati da nulla, senza desideri ed attaccamenti, senza pensieri sul passato e sul futuro, senza essere influenzati dai pensieri presenti che possono sorgere improvvisamente. Non si avrà alcun attaccamento, neanche per lo speciale sapore della benedizione del “samadhi” della meditazione. Si sperimenterà uno stato di beatitudine, ma non si proverà alcun particolare attaccamento ad esso; non si avranno speranze o timori e la presenza della chiara mente si mostrerà con chiarezza. Si proverà una particolare esperienza di beatitudine e di gioia, una grande purezza e chiarezza, un senso di piacere indescrivibile, l’esperienza sarà indicibile come quella di un muto che assaggia lo zucchero, lo sperimenta ma non può spiegare a nessuno quello che ha provato. Si avrà questa esperienza indicibile, come un giovane che sperimenta l’amore per la prima volta. L’esperienza viene chiamata “la saggezza nata spontaneamente”, “il vero stato naturale di tutti gli esseri senzienti”, o ancora “la mente di Buddha”, o “la mente auto-originata. Questo è proprio ciò che i Maestri cercano di spiegare e di mostrare, questo è ciò che si studia e si cerca di meditare e di sperimentare, è ciò che sperate che sorga, che sempre sperate di poter un giorno sperimentare, e ciò che temete di non poter realizzare; tutto ciò è proprio Questo, niente più di Questo, nient’altro. Attraverso questo metodo veniamo introdotti allo Stato naturale da parte di un Maestro nell’A-Khrid.
Una volta fatta questa esperienza seguono la sessione nona e decima. La Nona sessione fornisce una serie d’istruzioni destinate a stabilizzare questa esperienza del “rigpa” finché non diviene un flusso ininterrotto di consapevolezza. La decima consiste nell’integrare questo flusso con tutte le azioni di corpo parola e mente. Il praticante più dotato è in grado di rimanere senza sforzo nello Stato di contemplazione portando la saggezza assoluta e la percezione non concettuale in qualunque azione. Il praticante è la contemplazione ed Entrato nella grande non azione. Il praticante resta notte e giorno nello Stato Naturale senza agire fare progetti o pensare. Se prima dell’esperienza del “rigpa” le pratiche erano legate al pensiero adesso il praticante agisce senza azione e senza pensieri. Il praticante che ha raggiunto questo livello non utilizza più le pratiche finora incontrate né altri i sistemi di pratica come i sutra e i tantra. Tutti i sistemi legati al pensiero sono messi in ombra proprio come il sole che sorge fa sparire le stelle Non discrimina tra pensieri buoni e brutti.Il praticante non si preoccupa più dei suoi pensieri perciò li lascia come sono. Non si cura neanche delle emozioni le lascia così come sono. Non importa se compie meriti o peccati le cose vengono lasciate coì come sono. Questo è l’insegnamento principale dell’A-khrid. Naturalmente finché non saremo praticanti di quel livello dobbiamo applicare l’attenzione consapevole ma concettuale a tutte le azioni del corpo voce e mente .
8. Le partiche meditative complementari: la dimensione del sogno e l’integrazione nella vita quotidiana
Il terzo gruppo delle pratiche dell’A-Khrid sono le pratiche del perfezionamento del proprio continuum mentale perfettamente liberato”. Quindi prima dobbiamo liberare la nostra mente, poi rendere perfetta questa liberazione. Questi quattro capitoli sono così intitolati:
– sopprimere le proprie tracce karmiche durante la notte
– esercitarsi con le apparenze e la chiarezza durante il giorno
– utilizzare tutti i pensieri come la via durante il giorno e a notte
(ovvero portare tutti i pensieri nella consapevolezza durante il giorno e la notte)
– riconoscere la propria consapevolezza, lo stato naturale, tutto il tempo, senza interruzione.
La prima è la pratica del sogno. La pratica consiste nell’integrare la nostra pratica col dormire ed il sognare, integrare il dormire ed il sognare nello stato naturale. Benché vi siano delle posizioni da assumere e delle specifiche visualizzazioni da eseguire questa pratica non ha forma;non c’è nulla su cui concentrarsi perché è il riconoscimento non duale della pura coscienza da parte della pura coscienza stessa. La pratica e il suo obiettivo sono la stessa cosa dimorare nel “rigpa”. La seconda pratica consiste nell’addestramento dinamico durante il giorno. Questa sessione dell’insegnamento dell’A-khrid riguarda la pratica con la visione durante il giorno. Una citazione estratta da un testo di un antico maestro Dzogchen, Drenpa Namka, dice: “Non dovremmo seguire le coscienze dei sensi, ma se le seguiamo almeno non dovremmo seguire gli oggetti dei sensi, ma se seguiamo gli oggetti dei sensi almeno non dovremmo fare discriminazioni, ma se facciamo discriminazioni, non dovremmo afferrarci ad esse, ma anche se ci afferriamo ad esse non dovremmo sviluppare attaccamento”. Nello Dzogchen le coscienze sensoriali sono ritenute importantissime perché la presenza della mente si manifesta attraverso tutte le coscienze sensoriali ed è attraverso le coscienze sensoriali che facciamo esperienza del “rigpa” innato. Di fatto è più facile scoprire e fare esperienza del “rigpa” attraverso una percezione sensoriale viva e immediata piuttosto che attraverso il pensiero che elabora la percezione mediante la concettualizzazione. Se c’è maggiore presenza e sensazioni più intense, c’è maggiore senso di integrazione. In un antico ciclo Dzogchen della tradizione Bonpo, lo Shang Shung Nyan Gyud, si dice che, dall’energia del “rigpa”, sorgono le sei coscienze sensoriali e i loro sei oggetti. Pertanto le coscienze sensoriali non sono il “rigpa”ma percepiscono attraverso il “rigpa” stesso. In sintesi quando sorgono i fenomeni e le visioni,se cerchiamo di rimanere nello Stato Naturale, questi ci appariranno ancora, ma come un gioco dell’energia del Kunzhi, vale a dire della base dello Stato naturale stesso. La terza Pratica Integrare i concetti nel sentiero. Questa sessione dell’insegnamento dell’A-khrid riguarda la pratica relativa ai pensieri ordinari, i cinque veleni mentali e tutti i tipi di pensieri. Il testo riporta una citazione da un testo Sutra: “Quando realizzate ciò che non è realizzato, questa è la realizzazione dell’auto consapevolezza, il Rigpa”. Infatti in genere si parla di ignoranza e di auto-consapevolezza e di solito queste due menti sono percepite come qualcosa di separato, come due opposti; l’ignoranza è qualcosa di non buono che dobbiamo superare e la saggezza è qualcosa di buono che dobbiamo ottenere, vediamo sempre le cose in modo dualistico. Qui invece, ignoranza significa che non capiamo qualcosa, si riferisce alla mente che non conosce, che non comprende lo Stato Naturale, la verità assoluta; quando la mente comprende, allora questa è la saggezza, quindi l’ignoranza si è trasformata in saggezza, non c’è alcuna separazione tra ignoranza e saggezza. Un esempio che si usa fare è mostrare la mano chiusa a pugno o completamente aperta: il pugno è l’ignoranza, il palmo aperto è la saggezza, ma tutti e due sono sempre la mano, due forme differenti della mano, non sono oltre la mano; allo stesso modo è per l’ignoranza e la comprensione dello Stato Naturale: entrambe non vanno oltre la natura della mente!
Un altro esempio molto chiaro è quello che abbiamo già fatto molte volte del ghiaccio e dell’acqua. Quando l’acqua è ghiacciata diviene ghiaccio e quando è sciolta, liquida, è acqua; quando è ghiaccio è come l’ignoranza, quando è liquida è come la saggezza, ma l’ignoranza e la saggezza sono due forme diverse di una stessa sostanza, in realtà non c’è separazione nella loro realtà, nella loro qualità. Quando l’ignoranza si scioglie diviene saggezza, la liberazione dell’ignoranza è la saggezza. Quando comprendiamo la verità assoluta dell’ignoranza, dei pensieri e delle emozioni, quando sperimentiamo la realtà dei pensieri e delle emozioni, allora si liberano da se stessi e quella stessa è la saggezza. Quando proviamo una forte ira, subito pensiamo che è qualcosa di molto negativo, ma se guardiamo in direzione della sorgente da cui questa emozione scaturisce, non riusciamo a trovarla e sperimentiamo in questo modo direttamente la natura vuota dell’ira; l’ira scompare e noi sperimentiamo lo spazio, la vacuità. Questa è la liberazione dell’ira e questa è la saggezza; questa esperienza è essa stessa la saggezza. Il testo riporta ora una citazione dallo ‘Dzog Chen drug Lungdrug’, un capitolo di un altro importante testo Dzogchen: “Non è possibile mostrare la saggezza rinunciando ai cinque veleni mentali: se rinunciamo ai cinque veleni mentali è come se li eliminassimo, ma se li eliminiamo è impossibile mostrare la saggezza”; questo significa che non dobbiamo rinunciare alle emozioni, ma osservarle e, quando ne comprendiamo la vera natura esse si libereranno da loro stesse. Questa à l’autentica “auto-liberazione”, la saggezza stessa.
La quarta pratica è l’introduzione diretta. Nell’Insegnamento dei Sutra Yogachara (“cittamatra”) s’insegna che la coscienza crea le sue stesse forme. Secondo il Cittamatra poiché l’oggetto percepito e la percezione sono identici, l’oggetto percepito non esiste affatto. Il cosiddetto mondo esterno è solo un flusso di cognizioni non è reale. Afferma infatti Vasubandhu: “Tutto questo consiste solamente dell’atto di coscienza poiché gli enti irreali appaiono come un uomo con la vista difettosa che vede capelli laddove non esistono”. Egli cita i sogni come esempio di costrutti puramente soggettivi che appaiono come realtà oggettive.L’apparente realtà che i sogni posseggono non deriva da alcun mondo concreto oggettivo ma semplicemente dall’idea dell’oggettività.
9. La realtà, come espressione dell’energia incessante dello Stato Naturale della mente
Lo Dzogchen conviene con lo Yogachara che le apparenze non hanno un’esistenza indipendente,ma queste sono forme manifestazioni della Base. Lo Dzogchen si spinge tuttavia oltre perché, secondo questo sistema, il mondo che noi esperiamo altro non è se non forme congelate del “kunzhi”,indicato nelle traduzioni occidentali come la Base. Gli insegnamenti Dzogchen affermano che tutte le visioni grossolane e sottili, sia che si tratti delle cose che si vedono nel mondo esterno, come montagne o edifici, o delle visioni interne che si manifestano durante la meditazione o la pratica spirituale, provengono dall’energia della Base la cui essenza è la non dualità della Vacuità (stong-panyid) e immediata Consapevolezza (gsal-wa). Essi sono inseparabili (dbyer-med) e sono la pura e assoluta potenzialità da cui tutto si manifesta. Questi due aspetti “kunzhi” e “rigpa” sono paragonati a una madre e un figlio inseparabili. La Vacuità è Chiarezza, e la Chiarezza è Vacuità. Non possiamo dire che la Vacuità sia una cosa e la Chiarezza un’altra, perché, di fatto, sono una singola unità una singola sfera interconnessa. Questa realtà fondamentale viene a volte simbolizzata come un’unica sfera di pura luce (thig-le chen-po). È unica perché è non duale. Non è unica in opposizione a qualcos’altro. Non conosce confini o divisioni, non ha interno o esterno. Benché non duale, in essa le energie elementali si manifestano incessantemente. Ecco perché spesso viene raffigurata come una sfera di luce di arcobaleno dei cinque colori degli elementi. Negli insegnamenti della Grande Perfezione troviamo il concetto di“lhundrub”, la “perfezione”, o “presenza spontanea” che caratterizza tutti i fenomeni, incluse la felicità e la sofferenza. Qualsiasi cosa si presenti all’esperienza, è perfetta infatti così com’è. Tutti i fenomeni sono una manifestazione delle pure luci che sorgano dal “rigpa” da cui tutte le qualità del Nirvana e del Samsara si manifestano incessantemente. Noi ci impegniamo in una lotta sostanzialmente falsa con l’esperienza soltanto perché siamo prigionieri di errate visioni dualistiche. Dobbiamo soltanto svegliarci, come da un sogno, perché ciò finisca e quando ciò accade ci rendiamo conto che non è mai stato reale. L’Essenza della mente e dellamateria è la singola sfera interconessa (l’unione del “kunzhi” e del “rigpa”). La Base dell’esistenza ha la capacità di manifestare tutto ciò che esiste persino esseri come noi che si allontanano dalla loro vera natura. Tutto ciò che esiste sorge dallo Stato naturale, dimora nello Stato Naturale e si dissolve nello Stato Naturale stesso. Nonostante tutto sorga dalla Base essa rimane pura e incontaminata(“kadag”). Benchétutto si manifesti dallo stato Naturale, la Base non contiene nulla di concreto neanche un minuscolo atomo. Tutto nella Base è contenuto in potenza per questo si dice che la base sia spontaneamente perfetta. Può sorgere la domanda come mai, se “kunzhi” dimora nelle forme grossolane e sottili, la materia sembra mancare di coscienza? Perché gli esseri senzienti possono ottenere illuminazione e la materia no? Lo Dzogchen Bonpo per spiegarlo utilizza l’esempio del cristallo e del pezzo di carbone in cui il cristallo rappresenta mente e il carbone la materia. Quando il sole splendeil carbone, anche se immerso nella luce, non può rifletterla. Al carbone manca la capacità di riflettere proprietà che possiede il cristallo.In cosa consiste questa capacità? Per spiegarlo è utilei ripartire il “rigpa” in tre aspetti:
– la consapevolezza pervadente, o “chabrigrigpa”;
– la consapevolezza della coscienza in movimento, o “samrigrigpa”, e
– la consapevolezza primordiale, o “yerig”.
La consapevolezza pervadente “chabrig” è inseparabile dalla Base“kunzhi”, è ovunque presente tanto nella materia quanto negli esseri.Il “samrigrigpa” è la consapevolezza della mente concettuale, è il “rigpa” figlio che si trova solo nella mente degli esseri senzienti nei quali la distrazione può interrompere la continuità della consapevolezza. La consapevolezza primordiale “yerig” è la madre “rigpa”, è la consapevolezza sempre presente che pratichiamo o non pratichiamo. Essa è personale, ovvero specifica in ogni essere senziente, ma non è un individuo in se stessa. È questa consapevolezza primordiale che il figlio “rigpa” cerca di conoscere. Il “rigpasamrig” è noto anche come il “rigpa della Via” perché sorge nell’esperienza individuale con la pratica. Esso è l’esperienza che l’individuo fa dello “yerigrigpa” o “rigpa madre”. Il “samrigrigpa” è l’esperienza diretta del “rigpa”a cui si viene introdotti durante l’ottava sessione. Il “rigpa della Via”, noto come “consapevolezza innata”,ha la possibilità di conoscerela consapevolezza primordiale grazie all’inseparabilità di “madre” e “figlio” paragonati, nello Dzogchen, alla panna e al burro: la panna e il burro sono della stessa sostanza ma per ottenere il burro bisogna intervenire con un’azione. Per concludere il “rigpa figlio” è la nostra esperienza intermittente del “rigpa”. Lo percepiamo mai poi lo abbandoniamo ricadendo nella mente concettuale. Il “rigpa” primordiale è sempre presente che non nasce né cessa che lo si riconosca o meno. Sia lo “yerigrigpa” che il “samrigrigpa” sono presenti solo negli esseri senzienti. Abbiamo parlato di “rigpa” personale e individuale. A questo riguardo è bene precisare che lo Dzogchen mantiene una posizione abbastanza paradossale sulla base e sul “rigpa” e la Base .Da una parte sostiene che non esiste un “ripga” comune, condiviso da tutti gli esseri, ma che al contrario dimori in ognuno di noi individualmente; dall’altro nega tuttavia che esistano infiniti spazi individuali: esiste una sola sfera interconessa. Inoltre anche il termine individuale può essere facilmente frainteso. Si ricorre ai termini individuale e personale per limiti del linguaggio. La Natura della Mente non è un possesso individuale e non è un individuo. Il “rigpa”, nella dimensione dell’individuo, è personale soltanto nel senso che è la pura consapevolezza sottostante alla mente che si muove e al senso della soggettività. È consapevolezza localizzata come un individuo che fa esperienza. Ma non è vincolata da nessuna identità limitata, sebbene attraverso l’illusione della mente dualistica noi siamo arrivati a viverla come tale.
Questo conclude la 14 sessione. La Sessione 15, che conclude l’opera, riguarda infine la pratica del Phowa, nota come “trasferimento di coscienza” e destinata a consentire la realizzazione della condizione di Buddhità al momento della morte, grazie al trasferimento del principio cosciente del morente in una dimensione pura e illuminata della Realtà. In questo ambito, il testo, come ricorda Nicoletti, nella sua introduzione all’“A-khrid”: “tratta di tre modalità differenti di Phowa: la pratica graduale; la pratica eseguita in forma istantanea; la pratica compiuta per il beneficio degli altri, quella da attuare dunque nei casi dunque in cui il praticante, o altra persona, non sia in grado, in punto di morte, di eseguire da solo il Phowa. Se le prime due formule presentate si concentrano soprattutto sulla visualizzazione della lettera “A”, sull’emissione violenta dei suoni Hik! (capaci di favorire l’egresso), nonché sulla possibilità di integrarsi direttamente alla dimensione assoluta della Realtà, il Phowa eseguito per un’altra persona presenta un’esecuzione più ampia ed articolata: secondo la formula tipica di questo tipo di pratica, lo scritto contiene infatti un lungo testo da recitare al cospetto del morente, così da fornirgli informazioni sequenziali e circostanziate sull’attitudine mentale da adottare per favorire il distacco dal corpo e sulle varie procedure da seguire così da utilizzare quest’esperienza estrema come un’occasione sommamente propizia per ottenere la Liberazione”.
10. L’“A-khrid”, un manuale completo di pratica
L’esposizione fin qui compiuta riguardante i vari temi che, in maniera progressiva sono trattati all’interno del testo dell’“A-khrid”, illustra solo in parte la ricchezza e la profondità degli insegnamenti che sono in esso contenuti. Sotto questo riguardo questa importante opera, pubblicata dalla casa editrice Le loupdessteppes(www.loupdessteppes.com) che, da anni, è impegnata nell’opera di divulgazione di testi relativi alla tradizione dello Dzogchen tibetano, costituisce un prezioso supporto alla comprensione di questa importantissima tradizione spirituale come anche uno strumento indispensabile per chiunque sia in camminato nella pratica secondo questo sentiero.
Luca Violini