Sul Bestiario di Roma di Alfredo Cattabiani – Giovanni Sessa
Giovanni Pascoli e la Via Lattea – Seconda Parte – Rosa Ronzitti
(prosegue …)
4 . La fantasia del Pascoli si alimenta anche della tradizione popolare: la Via Lattea è intesa dal popolo ingenuo come processione di anime defunte, una delle quali può andare a cercare un vivente per condurlo con sé. Su tale credenza si basa Suor Virginia (Primi Poemetti) (32), storia delle ultime ore di una monaca chiamata in cielo dalle undicimila vergini martirizzate di Santa Ursula.
La fila di anime femminili, capeggiata da San Pasquale Baylon che bussa per annunciare la morte, è descritta nella sezione V e ha tutte le caratteristiche della Via Lattea: è luminosa (con le lampade fornite/ d’olio odoroso), si snoda in cielo bianca (colore mortuario), nastriforme, esalante (camminando in fila;/ di bianco lino, come lei, vestite, V 3-4; … erano un nastro/ bianco, ondeggiante, a un alito, pian piano/ nel cielo azzurro tra la terra e un astro, V 7-9) e passa come gli Ave a grano a grano/ d’una corona (V 10-11), finché Ursula stessa non batte tre volte alla porta celeste per garantire l’ingresso della nuova arrivata: E in terra Suor Virginia intese/ quei colpettini al grande uscio del cielo (V 21-22).
Raffinatissima appare la teoria delle giovani donne gigliate (E le dicean parole/ di sotto il giglio che teneano in mano, V 11-12), per la quale non possiamo limitarci a rilevare la pur evidente aderenza al gusto liberty del primo Novecento (33) o a richiamare una poesia di Myricae sui gigli (34). In primo luogo la teoria delle vergini manifesta un chiaro influsso iconografico bizantino, ovvero il mosaico d’oro delle 22 vergini martiri rappresentato a Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna(Fig. 1) (35); in secondo luogo il passo presuppone e reinterpreta l’archetipo omerico della ‘voce di giglio’ (Iliade III 151) e, cosa ancora più interessante, lega il giglio alla Via Lattea come nella raccolta bizantina intitolata Geoponica (X secolo) (36): solo in questo testo si attribuiscono al latte sparso da Era tanto la nascita della Galassia in cielo quanto quella dei gigli in terra e viene creata una corrispondenza fra stelle e fiori sulla base del comune candore (XI 19,1):
Ἐμπλησθὲν δὲ τὸ βρέφος τοῦ γάλακτος ἀπέστησε μὲν τὸ στόμα τῆς θηλῆς, ἔρρει δ’ ὅμως
τὸ γάλα ἀφθόνως, καὶ τοῦ παιδὸς διαστάντος, ἐν οὐρανῷ τε διαχυθέν, τὸν λεγόμενον
γαλαξίαν ἀπειργάσατο, ἐν τῇ γῇ δὲ ἀπορρυὲν, καὶ τὰς βώλους δεῦσαν, ἄνθους τὸ τοῦ
κρίνου ἀνέδωκε προσεοικὸς τὴν χρόαν τῷ γάλακτι
‘Il bimbo, sazio di latte, distolse la bocca dal capezzolo: scorreva il latte a profusione e, essendosi ritratto il fanciullo, il latte versato in cielo produsse quella che è detta Galassia; riversato a terra imbevve le zolle e produsse il fiore del giglio, simile per colore al latte’.
Le metafore che il Pascoli inanella nel descrivere la soave e inquietante processione di donne morte sono altrettanti riferimenti a un mondo astrale rivissuto e rinominato che oscilla tra culture raffinate e credenze popolari e il cui confine con più elevate riflessioni scientifiche non è netto. Si prenda, al v. V 8, quell’alito che sale al cielo: parola quanto mai cara al poeta, essa riconduce alla sfera del respiro, dell’anima, ma anche al sottile e incorporeo trait d’union tra vivi e morti rappresentato dal corteo luminoso di anime ascendenti. Subito viene in mente una poesia fortemente emblematica, L’imbrunire (Canti di Castelvecchio): qui il Pascoli stabilisce una serie di corrispondenze, un amoroso dialogo, fra terra e cielo, vivi e morti, pianeti e finestre, case e stelle e infine, tra la Galassia e l’errante fumo d’ogni focolare, che ricopre lo spazio tra i mondi come un grigio velo. La Galassia è fumo, nebbia e nube come in tanti iconimi popolari del territorio romanzo (37). E la metafora prosegue, poiché, nei versi conclusivi de L’imbrunire, essa
si esala nel cielo, per la tremola serenità.
La terminologia impiegata sembra proprio una ripresa (eco, ri-creazione mnestica?) del lessico meteorologico di Aristotele, per il quale καπνός ‘fumo’ e ἀναθυμίασις ‘esalazione’ descrivono la natura delle masse di vapori che, scontrandosi con lo strato inferiore dell’etere, danno vita ai vari fenomeni “meteorici”, tra i quali lo Stagirita, a torto, annoverava anche la Galassia.
Proseguendo nella lettura di Suor Virginia, notiamo le sottili suggestioni astrali insite nel paragone tra ogni vergine morta e i grani del rosario, grani luccicanti perché illuminati dalla candela che ciascuna vergine reca nella conca “bizantineggiante” di alabastro (V 5-6 e 10-11):
nelle pallide conche d’alabastro
portando accese le lor dolci vite
…
passando, come gli Ave a grano a grano
d’una corona. …
La prima immagine parrebbe un’allusione all’anima di Cacciaguida, un’anima stella, un Fetonte senza precipizio (Pd. XV 16-24):
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond’e’ s’accende
nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che ’n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
de la costellazion che lì risplende;
né si partì la gemma dal suo nastro
ma per la lista radïal trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.
Si è appropriatamente pensato che l’ispirazione per la similitudine del foco venisse a Dante in Ravenna dal mausoleo bizantino di Galla Placidia, chiuso da finestre alabastrine (38): e così si realizza una altro circuito dantesco-pascoliano, indubitabile, del resto, dato che la triplice rima alabastro–astro-nastro è ripresa, con ordine invertito, nella quinta sezione di Suor Virginia (vd. supra).
Anche granosi rivela parola-chiave per scendere nelle profondità dei testi, perché non solo il cereale rappresenta sulla terra il ciclo della vita e della morte e l’elemento che nutre gli uomini con il pane, ma è anche figura degli astri. Si pensi ai granai del cielo, ogni cui grano è un mondo de Il ciocco (II 232). Nelle culture contadine, in base a quel principio delle corrispondenze prima evidenziato, l’intera vita dei campi è trasferita in cielo: la volta celeste è un’aia, le stelle chicchi lucenti di grano, semi sparsi nel cosmo attraversando il quale precipita il fanciullo de La vertigine:
quel seminio, quel polverio di stelle!
Il tema del ciclo del grano, fortemente sentito nei Primi e nei Nuovi poemetti, si fonde con le suggestioni neoplatoniche e orientali che informano la visione finale de Il ciocco: come la spiga muore e rinasce, come il grano si trasforma in pane e farina così i mondi collideranno e andranno a seminare (II 212) di rottami il cielo, sicché il loro polverio (II 248) ‒ che rima con il seminio di La vertigine ‒ potrà rivelarsi di nuovo fecondo.
Il cielo che Pascoli immagina come una grande aia trova ampio riscontro negli iconimi popolari. Rientra per esempio in questo campo figurale la famosissima sinestesia del Gelsomino notturno (Canti di Castelvecchio) che allude alla costellazione delle Pleiadi:
la Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Il tipo ‘chioccia (con pulcini)’ per denominare le Pleiadi è quello di maggior diffusione, dentro e fuori l’area romanza (e senz’altro in Toscana), con varianti quali ‘pulcinaia’, ‘gallina’, ‘pitta’, ‘covatrice’, ‘polla’ (39). Le Pleiadi rimandano però anche al ciclo del grano. È infatti molto diffuso l’iconimo ‘setaccio’, ‘crivello’ (40), che per mutuazione indicherebbe in Lombardia anche la Via Lattea (41) e che comunque si rintraccia in varie parti del mondo, con due punti di addensamento: l’area baltica e del medio-Volga (42) e l’India settentrionale: il nome sanscrito delle Pleiadi, kr̥ttikā, ha probabilmente la medesima radice di lat. cribellum (da kr̥t- ‘suddividere, tagliare’) (43).
Il rapporto tra stelle e setaccio viene variamente spiegato dal folklore: in Lituania, terra in cui le Pleiadi sono appunto denominate Sietas ‘setaccio’, si narra che i diavoli rubarono alla Vergine il setaccio per la farina che, recuperato da San Marco, fu appeso al cielo ormai irreversibilmente danneggiato e deforme (44). Se ne deduce che non di rado nelle culture agricole le stelle sono concepite come farina sparsa in cielo e che il Pascoli recuperi, con il suo genio immaginifico, l’universo metaforico che sottende alla creazione di tali leggende, unendolo alle riflessioni su morte e rinascita proprie invece di un pensiero filosofico strutturato.
5 . Anche La morte del Papa (Nuovi Poemetti) è basata, e in modo ancora più esplicito, sulla credenza che la Via Lattea sia la strada percorsa dalle anime durante l’ultimo viaggio. La protagonista, un’anziana contadina della Lucchesia, è convinta di dover morire insieme al papa Leone XIII, col quale condivide la data di nascita (2 marzo 1810).
La notizia dell’agonia papale induce la nonna a preparare le ultime cose per lasciare il mondo in pace. Dopo aver mangiato con il figlio e un bisnipote e dopo aver disposto dei suoi pochi averi e del funerale, ella si corica attendendo che il sagrestano giunga, seguìto da una processione di oranti(femminile, canora e luminosa come in Suor Virginia) nella quale già si prefigura la Via Lattea (X 13-15 e 19):
[se vedesse alfine]
salir di qua e là tante stelline
salir cantando, con in mano un cero,
una fila di donne e di bambine.
…
Quante candele c’erano al sogliare!
E lo sguardo della morente trapassa dalla terra al cosmo. Alzando gli occhi negli ultimi attimi, la nonna riconosce da sola il percorso da intraprendere (XI 1-9):
E levò gli occhi, e ravvisò la strada,
nel cielo azzurro, tra le stelle ardenti
bianca ma quasi molle di rugiada,
la tacita sul sonno delle genti
strada di Roma. Un tratto ne lucea
nel breve spazio in mezzo ai due battenti:
un sentieròlo con una macea,
lassù nel cielo: un pallido biancore
presso le stelle di Cassiopea.
‘Strada di Roma’, insieme a ‘Strada di San Giacomo’, è forse l’iconimo popolare della Galassia più diffuso sul territorio romanzo (45), già assunto in poesia dall’abate Zanella nel suo Milton e Galileo (1868, I 170-172), che il nostro pare qui aver presente:
In cielo
v’ha di stelle una via, che via di Roma
disser le genti (46).
Di per sé il tipo ‘strada/via di Roma’ sembra maggiormente attestato sul versante adriatico dell’Italia, ma la sua presenza in area còrsa (Cargese e Porto Vecchio) e le varianti toscane Via Romana fanno pensare a un’estensione territoriale molto più ampia. La denominazione era comunque presente anche nei dialetti romagnoli e quindi di certo nota al Pascoli (47).
In accordo a una lingua che rispecchia intimamente i pensieri e le percezioni di un’anziana e umile contadina, la strada celeste è poi definita un sentieròlo, un vïotterello; nel lessico familiare e dialettale della donna, tuttavia, il poeta inserisce citazioni coltissime: il sentieròlo che è breve spazio in mezzo a due battenti ha di nuovo dietro di sé la mitologia pitagorica e neoplatonica della Galassia come porta delle anime (48). La metafora stessa del sentiero richiama un celebre ascendente maniliano che il Pascoli non poteva non conoscere: ac veluti virides discernit semita campos, quam terit assiduo renovans iter orbita tractu ‘e come un sentiero, che la ruota rinnovando il passaggio logora con traccia continua’ (Astronomica I 705-706). Sono, questi, due esametri di un lungo brano in cui Manilio passa in rassegna tutte le teorie galassiogeniche a lui note, senza distinzione tra mito e scienza, comprendendo tanto il mito di Fetonte quanto le credenze pitagoriche sull’anima astrale.
La tormentata sensibilità pascoliana vede però il sentiero circondato da muriccioli in rovina (con una macea) (49). La strada percorsa dalla processione di anime e dal Papa stesso, che nello stupendo finale del poemetto vi incontrerà la nonna – entrambi tornati bambini –, si rivela proprio l’alta sui burroni dell’Infinito ignota Galaxìa. Burrone, baratro (La vertigine) e borro (Il ciocco) sono parole predilette per rappresentare la profondità assurda del cosmo, uno spazio senza appigli, pieno di buchi, cava ombra(Il ciocco II 19) come la caverna platonica della non conoscenza. Val la pena di ricordare che nella Meteorologia aristotelica χάσματα τε καὶ βόθυνοι si aprono nella vòlta celeste per contrazioni dell’aria condensata (I 5, 342a), sicché il cielo sublunare immaginato dallo Stagirita non è affatto omogeneo, bensì disseminato di voragini che compaiono e scompaiono secondo la contrazione dell’aria, un percorso fatto di trappole lontano dalla serenità cristallina dell’etere, un paesaggio dissestato che Pascoli traspone a tutto il cosmo.
6 . Ne La pecorella smarrita (Nuovi poemetti), composizione in terzine che il Getto giudica fra le più significative della poesia cosmica (50)–collocata poco dopo La morte del Papa–, si trova un altro accenno, indiretto ma suggestivo, al tema dell’aia celeste. Un frate in attesa del Natale alza lo sguardo verso la volta stellata ed è travolto dalla visione deibaratri profondi/ colmi di stelle … ./ Mucchi di stelle,/ grappoli di mondi, nebbie/ di cosmi(51). Di fronte agli abissi celesti egli ha netta la percezione della terra come nullità piena di male, foglia secca … scheggia, grano, favilla. Non lo consola il quadretto natalizio di capanne, monti e pastori zufolanti che avanzano verso di lui (III 13-15):
In cielo e in terra tremulo uno sciame
era di luci. Andavano al lamento
della zampogna, e fasci avean di strame.
È la terza volta che incontriamo la figuralità processionale: in Suor Virginiae La morte del papa abbiamo rilevato come l’idea di un corteo luminoso che si snoda fra cielo e terra rimandi strettamente alla Via Lattea e alle anime-stelle. In Suor Virginia si tratta di vergini soavi e canore, qui di pastori con la zampogna che scendono dai monti. Ogni vergine reca un lume, un giglio e una conca di alabastro; ogni pastore (52) reca un fascio di paglia tagliata e una lanterna. Suggeriamo un sottaciuto legame tra giglio e paglia, nel senso che anche la paglia è uno dei grandi comparandi della Via Lattea in numerose culture antiche e rurali estese dalla Sardegna fino all’Asia centrale. Si tratta di un Leitmotiv famoso: quello del furto celeste di un mannello di paglia che, sparsa in cielo, avrebbe formato la Galassia (53). Il corpus di iconimi e leggende sulla paglia astrale è copiosissimo, ma diffuso a livello popolare e orale piuttosto che colto e letterario.Le denominazioni sul territorio italiano sono:
(b)ía dessa ƀádza (dessa ƀálla), Sardegna
pagghie de sandePetre, Puglia (Molfetta)
Fuori dall’Italia:
mangadzaḥasar‘strada di paglia’ (Etiopia, lingua gəʽəz)
pimoit ente pitoh‘strada di paglia’ (copto)
abrid b-ualim ‘il cammino di paglia’ (varietà berbere)
ṭarīq al-tibn ‘sentiero della paglia’ e darb al-tābānīn‘sentiero dei portatori di paglia tagliata’ (arabo colloquiale)
šeḇīlā d-teḇnā‘strada di paglia’ (siriaco)
yardgołihet‘percorso del ladro di paglia’ (armeno classico)
tɛrmanuköličǝnapar‘strada del ladro di paglia’ (armeno orientale, Karabakh)
rāh-ekā̌hkašān ‘via del tirapaglia’ (persiano)
saman-oǧrısı ‘ladro di paglia’ (turco osmanlɩ)
baba cu pajle‘vecchia con le paglie’ (romeno, Maramureș)
kumova/ kumoskva slama ‘paglia del padrino’ (serbo, croato, macedone)
popova slama ‘paglia del prete’ (bulgaro)
τὸἄχυροτοῦ παπᾶ ‘paglia del prete’ (neogreco).
Il mitologema è registrato con numerose varianti e sicuramente precristiano, nonostante la recenziorità di tutte le attestazioni: lo dimostra sia una rara testimonianza armena che attribuisce il furto di paglia a una divinità armena (il dio indoiranico Vahagn) (54) sia una leggenda egizia (o greco-egizia) riportata nel 1643 dal padre gesuita Athanasius Kircher, secondo la quale Iside, fuggendo da Tifone (Seth), gli avrebbe gettato fra le gambe un mannello di paglia, generando e nominando la Via Lattea:
Fingunt enim (scil. Aegyptii) Typhonem Isidis fugientis fasciculum aristarum sibi obiectum in caelo dispersisse, unde & plagae illi (cioè alla Galassia) via straminis nomen in hunc diem mansit (55).
Nelle versioni cristianizzate il furto della paglia è compiuto o subìto da personaggi magico-religiosi quali santi, padrini e preti. In Romania una certa Santa Vinire, ovvia cristianizzazione di Venere (cioè Iside), avrebbe addirittura trafugato la paglia al proprio figlio, San Pietro (56).
Sul polo alto della riflessione scientifica, tornando quindi alla fondamentale Meteorologia aristotelica, troviamo che paglia, stoppie e campi, a causa della facile infiammabilità, sono volentieri utilizzati per chiarire con esempî concreti diversi tipi di fuochi celesti, tra cui le stelle cadenti e altri fenomeni meteorici difficili da identificare ma sicuramente generati da combustione atmosferica (I VII, 344a):
Quando … una scintilla si incontra con un tale stato di condensazione dell’esalazione, se tale scintilla non è così forte da infiammare velocemente ed in gran quantità, né tanto debole da estinguersi subito … si produce una stella chiomata, la cui forma dipende da quella assunta dall’esalazione: se questa è infatti uniformemente estesa si avrà una cometa, se è estesa in profondità si avrà una stella barbuta. E proprio come tale moto sembra essere la traslazione di una stella, se si avrà una stasi sembrerà che vi sia una stella fissa; un fenomeno simile si verificherebbe cacciando una torcia in un gran mucchio di paglia o lasciandovi cadere una piccola scintilla ((οἷον εἴ τις εἰς ἀχύρων θημῶνα καὶ πλῆθος ὤσειε δαλὸν ἢ πυρὸς ἀρχὴν ἐμβάλοι μικράν): la caduta di stelle si manifesta in modo analogo.
7 . Se, come abbiamo detto, la parola del poeta è scandaglio, specillo, sonda, nel Pascoli essa si immerge profondamente nel mondo classico e nel mondo contadino per trarne una materia antica e sempre nuova. Ma il tutto è reinterpretato secondo uno spirito inquieto che cercava nella contemplazione del cosmo una risposta al dolore proprio e dell’umanità. La speranza di una rinascita astrale domina sì poesie come L’anima e Il ciocco, informate da un pensiero neoplatonico e palingenetico, epperò il sentimento del poeta sconfina facilmente nella paura dell’abisso infinito e nella tragedia del male universale (La vertigine, La pecorella smarrita). La Via Lattea stessa assume quindi valenze molto diverse: accoglie le anime e la fa rinascere; è testimonianza della hybris fetontea che provoca catastrofi di mondi innocenti; è strada fatta di morti in processione, soavi forse, ma agghiaccianti.
Nell’opera del Pascoli le distinzioni tra colto e popolare, élitario e collettivo sono annullate, come se egli tornasse alle fonti comuni del pensiero umano prima che esso si diversificasse in mitologia, religione, scienza e credenze: similitudini, metafore e denominazioni della Via Lattea pascoliana fanno rivivere nel momento della creazione poetica millennî di riflessioni e leggende pregresse che ci restituiscono un immaginario davvero affascinante e sfaccettato.
Note:
32 – Il componimento, diviso in sei sezioni, apparve per la prima volta su «La Riviera Ligure» del gennaio 1903.
33 – Sui rapporti fra il Pascoli e l’arte liberty cfr. Maurizia Migliorini, Strofe di bronzo. Lettere da uno sculture a un poeta simbolista. Il carteggio Bistolfi-Pascoli, Nuoro: Ilisso, 1992.
34 – Cfr. I gigli, in strofe saffiche di tre endecasillabi e un quinario, apparsa in MY5: emerge un rapporto privilegiato tra il mondo dei morti e questi fiori, che escono ancora a biancheggiar (v. 10), come la Via Lattea de Il ciocco (vd. supra).
35 – Le vergini sono guidate da Sant’Eufemia, indossano vesti d’oro e veli candidi. Reggono ciascuna una corona e dietro di esse sono istoriate 22 palme del martirio.
36 – Ma iGeoponica hanno sicuramente un nucleo risalente al VI sec. d.C. e attribuito a Cassiano Basso (cfr. Simona Musso, La Via Lattea dei Greci e dei Romani, cit., p. 38).
37 – Sul tipo ‘nube’ cfr. Hermann Rotzler, Die Benennungender Milchstrasseim Französischen, cit., pp. 38-47e Remo Bracchi, Le vie del cielo, «L’immagine riflessa» 16, 2007, pp. 145-160.
38 – Cfr. Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Dante, Divina Commedia, Paradiso, Firenze: Le Monnier, 1988, p. 249.
39 – Pascoli usa Chioccetta ancora negli ultimissimi versi de Il ciocco (II 262) insieme a i Mercanti (Orione). Cfr. Carlo Volpati, Nomi romanzi degli astri Sirio, Orione, le Pleiadi e le Iadi, in «Zeitschrift f. romanischePhilologie» LII, 1932, pp. 152-211 e in particolare 194-195; Paola Capponi, La stella perduta: le Pleiadi nella tradizione mitologica e popolare, Alessandria: Edizioni dell’Orso, 2010, pp. 130-135 e 157-166.
40 – Cfr. Carlo Volpati, Nomi romanzi degli astri Sirio, Orione, le Pleiadi e Iadi, cit., soprattutto pp. 206-207: i punti sono in Val di Non (crivel), Oneglia (seiasetto), Solaro, Mi(kavano).
41 – Cfr. crivel a Castello e Villazzano (Trentino), in Carlo Volpati, Nomi Romanzi della Via Lattea, cit., p. 51, vicino al crivel registrato in Val di Non per le Pleiadi (vd. alla nota precedente).
42 – Cfr. Yuri Berezkin, The Pleiades as Openings, the Milky Way as the Path of Birds, and the Girl on the Moon: Cultural Links across Northern Eurasia, in «Folklore. Electronical Journal of Folklore» 44, 2010, pp. 7-34.
43 – Cfr. Marcello De Martino, Le divine gemelle celesti. Sacertà del fuoco centrale e semantica dell’aurora nella religione indoeuropea, Lugano: Agorà & Co., 2017, pp. 796-797.
44 – Cfr. Jonas Vaiškūnas, The Pleiades in Lithuanian Ethno – astronomy, in «Actes de la Vème Conférence Annuelle de la SEAC», Warszawa-Gdansk: Dép. d’Anthropologie Historique, Institut d’Archéologie de l’Université de Varsovie: Musée Maritime Central, 1997, pp. 225-238.
45 – Cfr. Carlo Volpati, Nomi romanzi della Via Lattea, cit., p. 8 e passim (la carta dell’Atlante Italo Svizzero, purtroppo assai scarsa e lacunosa con soli 24 punti rilevati, è poco utile, cfr. Karl Jaberg – Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen: Bern, 1928-40, II 362). Su San Giacomo di Compostela, santuario cattolico galiziano che nel Medioevo divenne centro di intensi pellegrinaggi, si vedano anche Luigi M. Lombardi Satriani – Mariano Meligrana, Il ponte di San Giacomo, cit., p. 70 e ss.
46 – La citazione è còlta dal Getto in Giovanni Pascoli poeta astrale, cit., p. 67. Per il Getto Milton e Galileo rappresenta il più notevole tentativo di poema cosmico prima de Il ciocco.
47 – Cfr. Carlo Volpati, Nomi romanzi della Via Lattea, cit., pp. 25-26 e Manlio Cortelazzo, Convergencies and Divergencies (Based on Alm Material), in Braj B. Kachruet alii (eds), Issues in Linguistics. Papers in Honor of Henry and Renée Kahane, Urbana Chicago London: University of Illinois Press, 1973, pp. 114-125, in part. p. 116.
48 – La credenza è ricordata da Porfirio (Da antro Nympharum 28, vd. supra). Sulle porte celesti si veda anche anche Simona Musso, La Via Lattea dei Greci e dei Romani, cit., p. 66 ss. Le porte celesti, immagine ingenua a livello popolare, hanno invece nel pensiero astronomico una precisa localizzazione nei punti in cui la Galassia interseca obliquamente i segni solstiziali di Cancro e Capricorno, rispettivamente porta della discesa agli inferi e della salita al cielo. Macrobio, riprendendo Porfirio, espone tale dottrina nel suo commento al Somnium Scipionis (I 12 1).
49 – Si tratta di un toscanismo per maceria.
50 – Cfr. Giovanni Getto, Giovanni Pascoli poeta astrale, cit., pp. 68-70.
51 – Il personaggio si ispira a un corrispondente del Pascoli, il padre Teodosio Somigli di San Detole, e ad alcuni dubbî da lui espressi sul valore del messaggio cristiano alla luce delle nuove teorie sull’infinità dei mondi.
52 – Si noti che in Suor Virginia San Pasquale Baylon, che devìa dalla sua strada per bussare all’uscio della moritura, era in vita un pastore e quindi le vergini sono ora il gregge (IV 7) da lui condotto in cielo.
53 – Riprendo in questo paragrafo alcuni temi già apparsi in «Ereticamente» 1-03-2019 nel mio contributo intitolato Simbolismi pagani e cristiani della Via Lattea nel quadro “La fuga in Egitto” di Adam Elsheimer (1609).
54 – Il testo modernizzato (che si legge in James R. Russell, Zoroastrianism in Armenia, Cambridge (Mss.): Harvard University Department of Near Eastern Languages and Civilizations and National Association for Armenian Studies and Research, 1974, p. 170) è il seguente: “Certain of the earliest men of the Armenians said that during a bitter winter (i xistj meṙayni), Vahagn, the ancestor of the Armenians, stole straw (gołacʽawzyardn) from Baršam, the ancestor of the Assirians, which [straw] we have become wont in science to call the Trail of the Straw thief (yardgołi het)”. La notazione stagionale (‘il rigido inverno’) lascia immaginare che la paglia trafugata servisse ad accendere il fuoco e dà una coloritura “prometeica” al mito armeno.
55 – Athanasius Kircher, Prodromi et Lexici Copti Supplementum, Lingua Aegyptiaca Restituta. Opus Tripartitum, Romae: Sumptibus Hermanni Scheus 1643, caput V, p. 560. La fonte del mito non è riportata.
56 – Cfr. Albert Schott, Walachische Märchen, Stuttgart und Tübingen: J.G. Cotta 1845, p. 285.
Prof.ssa Rosa Ronzitti,
glottologa e linguista dell’Università di Genova