Sul Bestiario di Roma di Alfredo Cattabiani – Giovanni Sessa
Tantra quale via della trasformazione – 1^ parte – Luca Violini
Introduzione
Il sistema dei Sutra Mahayana richiede eoni di pratica e la necessità di rinascere nelle dieci terre pure, ma esiste un metodo che permette di ottenere lo Stato di Buddha pienamente qualificato in questa stessa vita: questo metodo è conosciuto come Mayadeha, il corpo illusorio, o in Tibetano Gyulu(sgyu-lus). In questo caso durante la nostra vita qui sulla terra, noi facciamo una pratica detta Dzogrim(rdzogs-rim) in cui si crea al centro del proprio cuore un corpo energetico frutto dell’unione di un energia molto sottile detta prana e una mente ancora più sottile. Questo Gyulu o corpo illusorio fornisce una base sottile per la manifestazione del Sambhogakaya e così non è necessario cercare questa condizione in un’altra dimensione dell’esistenza. Noi abbiamo creato questo Gyulu durante la nostra vita sulla terra e attraverso la nostra pratica e quando sopraggiungerà la nostra morte noi trasferiremo la nostra Namshe o coscienza in esso e allora diventerà il veicolo per raggiungere il nostro Sambhogakaya. Ci sono comunque due tipi di Gyulu, il puro e l’impuro. Se al tempo della nostra morte noi non avremo raggiunto la perfetta realizzazione e purificato tutte le nostre sottili oscurazioni sia emozionali che intellettuali allora questo sottile corpo nato dall’unificazione di prana e mente sarà riconosciuto come un impuro corpo illusorio. In quel caso noi dobbiamo fare ulteriori pratiche di purificazione in quel corpo per realizzare la perfetta illuminazione. Soltanto quando raggiungiamo quello stato possiamo parlare del puro corpo illusorio. Lo Dzogrim la tecnica con cui si costruisce questo corpo sottile è rappresentata dalle pratiche più esoteriche del Tantra.
Origini
Nessun ricercatore storico è riuscito a risalire in modo indiscutibile all’origine e alla propagazione di quel sistema esoterico, articolato in complesse simbologie e profondi significati, che viene chiamato Tantra e che nasce in seno al «Grande veicolo» del Buddismo e all’Induismo. Infatti sia il Tantra buddista, che quello induista, in virtù della loro natura esoterica, si autoinseriscono in un contesto antistorico presentando la loro origine in termini metafisici. I Tantra, secondo la tradizione, sono insegnamenti basati sulla conoscenza e sull’applicazione dell’energia. La loro origine non risale alla trasmissione orale di un maestro, come nel caso dei sutra insegnati da Buddha, ma alla manifestazione nella visione pura di un individuo illuminato. Una manifestazione pura avviene attraverso l’energia degli elementi nel loro aspetto sottile e luminoso, mentre la nostra visione karmica impura è basata sul loro aspetto materiale o grossolano. Per ricevere questo tipo di trasmissione, quindi, è necessaria la capacità di percepire la dimensione sottile della luce. L’essenza degli elementi è la luce, il colore, ma non si tratta di colori materiali, visibili a tutti. Noi percepiamo soltanto i colori legati alla visione karmica. Quando essi si riassorbono nella dimensione sottile della luce per noi è come se sparissero. Un illuminato, che ha purificato il karma e ha reintegrato la manifestazione materiale nella dimensione pura degli elementi, manifesta spontaneamente la sua saggezza attraverso il colore e la luce. Per avere contatto con questa pura dimensione bisogna sviluppare al massimo la chiarezza innata, purificando gli impedimenti del karma e dell’ignoranza. Secondo la tradizione Buddista i Tantra furono insegnati da Buddha Sakyamuni nella manifestazione esoterica del «Buddha primordiale Vajradhara» (il detentore del Vajra e la manifestazione della natura segreta di Buddha) che successivamente assunse l’aspetto delle diverse divinità associate ai Tantra che, a seconda dei casi, esponeva. Sempre secondo i testi buddisti relativi all’origine del Tantra, gli insegnamenti tantrici vennero richiesti dai Bodhisattva quali Manjusri, Samantabhadra, Vajrapàni ed altri, a cui Buddha, in disparte dai suoi discepoli ordinari, in luoghi e condizioni particolari, espose i diversi Tantra. Questi insegnamenti si diffusero tra gli uomini grazie ad alcuni centri spirituali dove si recarono alcuni praticanti avanzati chiamati Mahasiddha. Il Centro spirituale più noto in Occidente è quello di Shambala, ma la tradizione tantrica parla dell’ Oddiyana, patria del Tantra e dello Dzog-chen, luogo natio di maestri come Garab Dorje e Padmasambhava,. A volte è chiamato ” il paese delle Dakini .’, espressione usata per definire la concentrazione in un luogo specifico di queste manifestazioni dell’energia dell’universo. Si parla principalmente di ottantaquattro Mahasiddha indiani che sono il simbolo di tutti coloro che nei secoli hanno realizzato l’insegnamento di Buddha in modo diretto ed in una sola vita. L’esempio dei Mahàsiddha è significativo soprattutto per due motivi: i Mahàsiddha mostrano la possibilità di realizzarsi velocemente ed inoltre operano per il bene spirituale degli esseri. Furono costoro a propagare il buddismo tantrico in Tibet permettendone la preservazione fuori dall’India. I Siddha si applicavano ad innumerevoli tecniche yoga, sia fisico che mentale, ripetevano i mantra e si assorbivano nella concentrazione meditativa con lo scopo di sperimentare lo «stato naturale dell’essere». Sebbene tra i Siddha vi siano i più grandi tra gli eruditi del Mahàyàna quali Nàgàrjuna, Sàntideva, Nàropa, Sàntipa ecc., sembrerebbe che tra i praticanti del Tantra vi fosse un atteggiamento di dissociazione dall’eccessivo scolasticismo ed intellettualismo caratteristico degli studi monastici. Tilopa disse al suo discepolo:
«Nàropa, i libri riportano solo parole, che sono come il latte annacquato che si compra al mercato».
La conoscenza nei Tantra è una conoscenza sovrarazionale intuitiva e immediata. Lo strumento dei Tantra è l’intuizione intellettuale pura, che non appartiene alla facoltà individuali .L’uomo in quanto tale non può giungere alla conoscenza metafisica attraverso le sue facoltà intellettuali, ma solo in quanto questo essere umano è nello stesso tempo qualcosa d’altro e qualcosa di più di un semplice essere umano. La conoscenza dei Tantra è la presa di coscienza da parte dell’individuo dei suoi stati sovraindividuali. Per i Tantra l’individuo appare solo come una manifestazione transitoria e contingente dell’essere vero. L’essere umano non è altro che una manifestazione transitoria e contingente dell’essere vero. La condizione umana non è nient’altro che un particolare stato di una moltitudine indefinita di altri stati dello stesso essere. Del resto, c’è in ogni certezza qualcosa di incomunicabile; nessuno può arrivare realmente a una qualsiasi conoscenza se non mediante uno sforzo strettamente personale, e tutto quel che un altro può fare è fornire l’occasione e indicare i mezzi per giungervi. È questa la ragione per cui sarebbe vano pretendere, in campo puramente intellettuale, di imporre una convinzione qualsivoglia; la conoscenza teorica è una conoscenza indiretta, la quale è in qualche modo simbolica, ma non va disprezzata e trascurata. Sebbene sia soltanto una preparazione indispensabile della vera conoscenza. Essa è del resto la sola che sia in certo qual modo comunicabile e, ancora, essa non lo è completamente; è questa la ragione per la quale qualsiasi esposizione non è se non un mezzo per accostare la conoscenza, e tale conoscenza, che inizialmente è soltanto virtuale, deve in seguito essere realizzata effettivamente. Non bisogna quindi confondere questa posizione con l’anti-intellettualismo sentimentale e ingenuo moderno tanto di moda tra i praticanti occidentali.
Significato del Tantra
Letteralmente Tantra significa “continuità”, nel senso della continuità dell’individuo: qui continuazione, si riferisce alla condizione dell’energia dello stato primordiale, che si manifesta senza interruzione. Tale “continuità” ha, quindi, la sua origine nella potenzialità di esser Buddha presente in ogni individuo, che, tramite il processo del suo “risveglio”, conduce alla Buddhità. Il Sentiero del Tantra viene anche chiamato Sentiero del Mantra segreto in cui il termine “man” sta per mente e “tra” significa proteggere; dunque il mantra è la protezione della mente dalle apparenze e dalle concezioni ordinarie. Secondo un’altra interpretazione etimologica “man” significa comprensione della vacuità e “tra” compassione. Specificatamente nel Mahànuttarayogatantra (la più alta delle quattro classi del Tantra, buddista), “mantra” assume il significato di consapevolezza primordiale della vacuità simultanea con la grande beatitudine. La beatitudine nel Tantra, poiché costituisce un aspetto molto potente della mente, viene utilizzata per comprendere la vacuità; per questo il Tantra è anche chiamato il Sentiero del desiderio. L’analogia che viene usata per descrivere ciò, è quella della larva che nasce dal legno e che poi lo divora. Il legno è allegorico del desiderio e la larva della beatitudine; il divorare il legno è allegorico dell’estinzione del desiderio. Dunque, sebbene il Tantra venga chiamato Sentiero del desiderio, non è il desiderio vero e proprio che viene utilizzato, ma la sensazione di piacere conseguente al desiderio. Lo stato mentale di beatitudine è diretto alla comprensione della mancanza di natura propria nei fenomeni dove il desiderio Ci sono vari modi di classificare i tantra il più diffuso è quello delle quattro classi del Tantra sono:
1. il Tantra dell’azione (Kryatantra),
2. il Tantra della condotta(Caryatantra),
3. il Tantra dello yoga (Yogatantra)
4. il Tantra dello Yoga supremo (Anuttarayogatantra).
Tale suddivisione è stata fatta in base alle diverse capacità del discepolo di usare il desiderio che nasce guardare, sorridere, abbracciare, entrare in unione con la consorte, quale mezzo per comprendere la vacuità. La via Tantrica è nota anche come via della trasformazione. Per comprendere il motivo della denominazione di «via della trasformazione», propria del sentiero tantrico, potrebbe essere utile vedere come si sviluppa l’idea di«trasformazione» dal Hinayàna, dove, pur non essendo contemplata è potenzialmente presente, al Mahàyàna, fino al Tantrayàna. Nell’HInayàna, come del resto in ogni aspetto del buddismo, il confronto con leemozioni, causa dell’«inautenticità dell’essere» e della sofferenza, svolge un ruolocentrale nella pratica del Dharma. Le emozioni, quali l’attaccamento ai fenomeni piacevoli e l’aggressività, o repulsioneverso ciò che risulta spiacevole, sono dovute anche a condizioni esterne; dunque, ilpraticante Hinayàna, evitando quelle condizioni che possono fungere da stimolo per ilsorgere delle emozioni, riesce a farle diminuire. La via dell’Hinayàna è quindi quella della disciplina della rinuncia; non viene insegnato come metodo per l’utilizzo delle emozioni che devono essere in ogni caso sempre evitate, non vi è «via di trasformazione» vera e propria, tuttavia nella tecnica meditativa, caratteristica dell’Hinayàna, in cui si applica «la consapevolezza ai contenuti della coscienza», le emozioni vengono osservate con attenzione ed immobilità, non ci si fa coinvolgere da esse né si devono reprimere; le emozioni vengono fatte dissolvere nella sfera della mente, dunque, in qualche modo, la loro energia viene «trasformata»contribuendo allo sviluppo della consapevolezza. Solo nel sentiero Mahàyàna comincia a delinearsi l’idea di «via di trasformazione» che trova la sua completa affermazione nel sentiero Vajarayàna. Nel «Grande Veicolo», il Bodhisattva, colui che agisce per il bene altrui, non è strettamente vincolato alla «disciplina nella rinuncia», ma l’altruismo può condurlo a compiere anche le azioni che vengono generalmente considerate negative, purché la motivazione sia rivolta al benessere degli altri; dunque per il Bodhisattva le«emozioni negative» non sono più il principale ostacolo da abbandonare, anzi possono essergli utili nella sua opera per il beneficio altrui.
L’immagine del pavone, che si nutre di erbe velenose senza morire, è un’allegoricamente nei testi Mahàyàna per indicare il Bodhisattva che, grazie alla sua intelligenza, fauso delle emozioni, quale l’attaccamento, senza essere macchiato dai loro difetti. Tuttavia, nel Mahàyàna non tantrico, le «emozioni perturbatoci», pur perdendo, coll’altruismo, molte caratteristiche di nocività, rimangono negative in quanto emozioni e non sono utilizzabili pienamente al fine di un arricchimento intcriore. Dunque nei sutra Mahàyàna non si può ancora parlare di una vera e propria «via di trasformazione». Nel Tantra invece la «via di trasformazione» trova il suo pieno sviluppo e va ad abbracciare tutta la sfera esistenziale: l’universo ambientale diviene il Mandala della divinità, gli altri esseri si trasformano in Buddha, il proprio corpo assume l’aspetto della divinità, le proprie azioni divengono «attività illuminata», la parola è il mantra, la propria mente è consapevolezza di simultanea vacuità e beatitudine e le emozioni divengono il gioco della consapevolezza. L’odio viene trasformato in «collera Vajra» (indistruttibile), l’attaccamento nel «sentiero della beatitudine». Ogni esperienza ordinaria viene trasformata da «causa di illusione» a «via per la liberazione». L’atteggiamento nei riguardi delle emozioni non è mai di tipo conflittuale o repressivo, ma di trasformazione ed elaborazione delle emozioni che vengono rivissute durante la fase meditativa al fine di mantenere la consapevolezza anche con una «mente perturbata». Nel Tantra le emozioni vengono considerate energie, di cui sarebbe dannosa la repressione sia per la salute fisica che per quella psichica.
D’altro canto però sarebbe distruttivo lasciar campo libero alle emozioni senza averne consapevolezza. Dunque nel sentiero tantrico le emozioni e le energie psicofisiche ad esse collegate, vengono incanalate, tramite le tecniche meditative di trasformazione che mirano ad integrare i vari aspetti dell’essere. La “trasformazione” è l’affrontare le situazioni, in particolare quelle emozionali, tramite metodi che ne utilizzano l’energia senza contrapporre resistenza o forzature. Questo non vuoi dire che il tantrika, trasformando la «realtà ordinaria», perde il contatto con essa o che “sfasando” l’ordinarietà, vive in un «suo mondo» di immagini tantoché, poiché lo scopo del praticante tantrico è quello di arrivare a percepire la realtà «così com’è». La trasformazione ha l’effetto di rimuovere le «interpretazioni personali» e le «concettualizzazioni» circa la realtà e per realizzare questa trasformazione lo yoghi si applica in tecniche meditative specifiche che hanno lo scopo di manifestare la mente primordiale o la mente naturale che dimora nel suo stato immutabile il Tathàgatagarbha. Nei Tantra il Tathagatagarbha è concepito l’infinito potenziale creativo della realtà ultima, composta da due poteri primordiali: l’essenze femminile e quella maschile, conosciuti anche come Saggezza (Prajñā) e Metodo (Upāya). La realtà ultima, che l’Hevajra Tantra chiama “la Grande Coscienza”, è contemporaneamente femminile e maschile, due polarità che si dilettano infinitamente l’uno nell’altro e li trascende entrambi. Il Mahāmudrā Tilaka Tantra presenta i costituenti della consapevolezza primordiale comebindu (punti luminosi), punti indistruttibili di luce che sono l’essenza della saggezza, dell’amore e potere creativo. Le polarità maschile e femminile. Solo le energie dinamiche della realtà ultima sono percepite direttamente come bindu rosso e bianco rispettivamente. Sono le essenze della polarità cosmica femminile e maschile da cui derivano tutte le apparenze. Le apparenze per i Tantra sono reali perché sorgono da una fonte reale. Quella fonte si chiama Evaṃ. La parola Evaṃ significa letteralmente “talità”. I Tantra rivelano che E è il semi sillaba della divina femmina essenza, saggezza, la diretta percezione della realtà ultima, rappresentato come un triangolo discendente. Allo stesso modo, Vaṃ è La seme di sillaba del divino maschile essenza, del metodo, erotico e dell’amore e compassione che spinge a liberarti e condurre altri all’illuminazione, viene descritto da un triangolo verso l’alto. Queste due energie primordiali sono reali e indistruttibili. Quando le essenze femminili e maschili si uniscono in unione, formano la parola Evam, rappresentata da una stella a sei punti chiamata Dharmodaya (fonte di realtà illuminata), Dalla loro unione tutte le apparenze sorgono. Il Dharmodaya è in realtà un tetraedro tridimensionale. Nei Tantra la realtà ultima è chiamata chiara luce ed è un androgino e questa realtà androgina è indistruttibile: la polarità femminile è rappresentato da un Bindu Rosso e la polarità maschile da un Bindu Bianco.
Luca Violini