I Rosa+Croce quale archetipo dell’esoterismo occidentale – Umberto Bianchi
Il supremo Vishnu – Valentina Ferranti
Le menti umane sono imbevute dalle logiche dei concetti tempo-spazio. Misuriamo e incastriamo. Il piano divino è immanente e tali categorie sono solo terrene. Il pensiero dell’uomo tende invece a voler calcolare tempi e circoscrivere luoghi con cui la sfera del mondo trascendente opera sul piano umano. Approssimazioni. Più corretto dire che vi sono degli snodi temporali o punti di rottura che sanciscono un cambio di passo nella storia umana e tali momenti fondanti sono caratterizzati da intervento divino. Questo è uno dei ruoli del supremo Vishnu. Nei Purana (nel Bhagavata-purana in particolare) la sua figura è centrale, poiché se ne descrivono le ‘discese’ e/o incarnazioni che qualificano il tempo terreno-umano illuminandolo e modificandone il corso. Una sacra rivelazione per gli ignari che l’accolgono. Non inchioderemo le epoche al computo bensì all’intervento divino che ne sancisce l’essenza, poiché Vishnu è interventista e gioca il ruolo del Salvatore e Conservatore. Tale aspetto è già delineato nei Veda. Il dio principio-luce percorre l’Universo con tre passi per investirlo di sacralità. Diviene così la figura benevola assoluta che grazie alle sue discese-avatara preserva e conserva ogni cosa creata nei momenti in cui la vita umana è privata della sua ragion d’essere. Vishnu ‘scende’ in veste di animale o in forma umana per rendere nuovamente accessibile la conoscenza divina ed il giusto cammino alle umane creature. Si manifesta poiché la sua natura è immanente e pervade ogni cosa, senza limiti. Dopo aver creato, entra nella creazione. Preserva l’ordine quando la linea verticale di connessione tra piano umano e divino si spezza. Preserva il Dharma, il modo in cui ‘le cose debbono essere’. La suprema armonia. È il dio ultimo e assoluto, lo stabilizzatore. Dal suo ombelico scaturisce Brahma l’ozioso, e dall’ombelico di Brahma, Shiva. Nella Trinità cosmica Lui rappresenta la tendenza coesiva sattva intesa come forza centripeta di luce e verità, mentre Shiva è colui che disperde, annichilisce. I principi non sono opposti, le categorie dicotomiche non sono funzionali nella tradizione induista bensì necessarie e cooperanti. Vita e morte sono interdipendenti, l’una non sussiste senza l’altra. Comunque sia se Shiva è principio distruttore, Vishnu è considerato simbolo della vita eterna, fulcro e primordio verso cui gli esseri temporali devono volgere lo sguardo.
Lo vediamo disteso, mentre dorme – medita il vuoto che diverrà potenza creativa – appoggiato al serpente Residuo-Shesa-Anante, il senza fine, sull’oceano delle acque cosmiche. Il suo nome in questo istante senza misura è Vishnu Narayana. Mentre riposa medita il mondo e riassorbe in sé ogni cosa, affinché l’universo possa nuovamente manifestarsi ripartendo dal centro; in questa fase, come già accennato, dal suo ombelico emette un fiore di loto dorato dal quale Brahma sorgerà creando un nuovo universo: un altro giorno del Brahman. Lo vediamo, in altre iconografie, ritto in piedi; blu la sua pelle e quattro le sue braccia. Le mani stringono quattro elementi principali: la conchiglia, il disco, la clava e il loto. Simboli connessi che ne sottolineano la capacità coesiva. La conchiglia è suono OM/AUM dal cui nucleo-verbo promana la vibrazione che dal centro si espande alla creazione. Proviene dall’oceano primordiale; il disco/ruota è l’immanenza del centro-luce. Ha sei raggi e il suo punto centrale, cui sono fissati i raggi che ivi scaturiscono, è la tendenza immobile-immutabile; il loto equivalente simbolico dell’uovo, si eleva dalle profondità delle acque. È quindi la purezza, la coesione da cui scaturiscono le leggi della Conoscenza-jnana e della perfezione; la clava/mazza è la consapevolezza dell’essenza della vita stessa, la forza mentale e fisica nonché potenza del tempo che mai può essere conquistato poiché è Kali.
Altri simboli sono l’arco, le frecce e la faretra etc… nonché il gioiello che il Conservatore porta sul petto ovvero la Coscienza che si manifesta nella luce, in tutto ciò che brilla. È ciò che non si avvale dell’errore, è la somma consapevolezza insita negli esseri viventi poiché creati. Il centro abbagliante nato dalle acque e quindi denominato Tesoro dell’oceano-Kausthubha.
Lo osserviamo, così adornato, cavalcare Garuda il cui nome deriva da gri ovvero parola, per questo viene chiamato Verbo-alato. Il veicolo di Vishnu conosce i segreti dei Veda e attraverso le ali li trasporta ad una velocità di lampo. Le intuizioni sapienziali promanano da lui. La Shakti di Visnu è Lakshmi. Essa uscì dalle acque con un fiore di loto in mano o siede su un loto. È la bellezza nonché la fortuna. La loro è unione armonica d’anima e corpo, è distante dall’irruenza cupa e violenta che caratterizza il rapporto tra Shiva e Durga-Kali. Vishnu e Lakshmi conservano l’unione, senza mai disperderla. Lei seguirà il suo sposo nelle sue avatara poiché Vishnu dopo aver manifestato il mondo, vi entrò. In ogni momento cruciale della storia, lui si manifesta. Nell’incalcolabile tempo che segnerà la fine della Quarta Epoca del mondo, Kaliyuga, il Signore della creazione tornerà e porrà fine all’era d’ogni dissacrazione. Il Kalki-Compimento-Cavaliere apparirà a cavallo armato di spada fiammeggiante. Il decimo avatara punirà gli iniqui, salverà coloro che hanno conservato la virtù e distruggerà il mondo affinché da quelle rovine-centro nascerà la nuova umanità basata sul Dharma. La legge divina e la giustizia trionferanno. Nel Bhagavata Purana (1, 3, 26) viene dato un tempo che, come all’inizio dichiaravamo, non è calcolabile. «Al crepuscolo dell’epoca presente» rinascerà. Questo ritorno è narrato soprattutto nel Kalki Purana. Lo ritroviamo inoltre nel Mahabharata. Nell’epopea mistica conosciamo e riconosciamo una delle avatara, ottava discesa, che segna la fine della Terza Epoca-Dvapara-yuga. Qui è lo Splendente, l’Amorevole, la divina felicità che cancella ogni dolore: Krishna. Nella Bhagavad-Gita (Bhagavat-glorioso-venerabile) episodio staccato del Mahabharata, vi è forse il maggior insegnamento che Vishnu poteva trasmetterci. Ed è proprio nella trasmissione che risiede la potenza del Canto. Il dialogo che si crea tra Vishnu-Krishna e lo Ksatriya Arjuna non può essere compreso se non grazie a facoltà sovrarazionali. Le parole che il dio dice al guerriero, nel santo luogo di Kuruksetra, dove i due eserciti – i giusti e i falsi – si fronteggiano, non è parola umana e deve essere compresa grazie alla vista interiore. Nell’immobilità che precede lo scontro, il dialogo sacro diviene quindi guida eterna per tutti gli uomini. Il lettore assorbe, è Arjuna ovvero l’io, Vishnu-Krishna è il Sé. I due viaggiano sullo stesso carro, sono simbolicamente la stessa creatura che attraverso la trasmissione dell’informazione divina attuerà la trasformazione e diverrà integra, centro, luce. In questa via interpretativa non trascuriamo i significati sociali, la spinta all’azione o meglio alla retta azione che caratterizza le parole di Vishnu, così come possiamo ancora viverle nel Ramayana dove diviene l’eroe Rama. I piani narrativi sono differenti. Nella Bhagavat-Gita ci troviamo di fronte alla divinità e a una forma di eroismo trascendente, mentre nel Ramayana, dinnanzi all’eroe maggiormente delineato nel fare e nell’ideale. Siamo nella Seconda Epoca del mondo o Treta Yuga e Vishnu accetterà la richiesta d’aiuto degli dèi che lo supplicano di essere liberati dai demoni e in particolare dal temibile raksasa Ravana, reso invincibile da Brahma. L’epopea è un limpido insegnamento, una iniziazione narrata in versi. Rama, splendore sulla terra, porta a concretezza, con la sua vicenda, il giusto ordine delle cose: il RTA! La legge cosmica che deve guidare l’uomo. Termine-concetto che nei testi successivi al vedismo diverrà Dharma ovvero: del come le cose dovrebbero essere per volere e ordine divino. Disattendere questa legge sacra significa sottostare al male, alla falsità e rinnegare il principio che governa il mondo ed il suo giusto fluire.
In terra è la realizzazione della propria natura del Sé, rappresentato dal Dharma, tant’è che l’espressione Rama raja ovvero il regno di Rama è sinonimo di un tempo di pace e prosperità, mentre Rama-Vishnu è l’uomo ideale così come Sita-Lakshmi è la donna ideale. Esempio da perseguire.
Vi sono diverse stesure del Ramayana o storie che riguardano l’Incantevole Rama, ma in tutte vi si narra di come Vishnu-Rama abbia ristabilito giustizia e felicità. Le sue azioni sono frutto dell’aggiogamento delle forze disperdenti. Yoga-aggiogare. Aspetto cardine che ritroviamo anche dell’avatara Vishnu-Krishna. Lo yoga, il Karma yoga, cui è dedicato il III capitolo della Bhagavad-Gita, aiuta ad immetterci sulla via della liberazione suprema e questo può avvenire solo se la mente si concentra su Vishnu-Krishna (l’Uno oltre il molteplice), seguendo la via dell’azione. Lo yogi è colui che mette il giogo al proprio respiro. ai propri sensi e ai propri pensieri per guidarli in direzione dell’unione mistica col divino. La nostra era ha falsificando la vera dottrina yogica e la sacra sapienza. Stiamo quindi parlando del tempo in cui viviamo, la Quarta Epoca del mondo. Le principali incarnazione, nell’oscuro Kaliyuga, segnano il passato e il futuro. Nonostante il buddhismo non abbia lasciato che qualche traccia nella tradizione indiana poiché eresia all’interno del sistema religioso induista, Vishnu in lui si incarna ma per dimostrare come l’individuo possa malauguratamente allontanarsi dalla saggezza vedica, dissacrare la tradizione, inaugurando così il declino della Vera conoscenza che si concluderà con l’arrivo del Kalki avatar. Il Buddha incarna illusione e errore ed è giunto per ingannare gli uomini di bassa casta e deprivare la tradizione dei suoi fondamenti. Disperde, non è più centro e sappiamo da questo breve excursus quanto Vishnu sia colui che conserva, regge e governa le leggi e quindi l’armonia dell’universo. Vishnu è l’Immanente. Così ce lo narra il Bhagavata Purana (1,3,26-27): «Allo stesso modo come da un lago inesauribile scorrono, da tutte le parti, i fiumi, così scaturiscono le innumerevoli incarnazioni di colui che cancella il dolore, che è la somma di tutte le realtà. I veggenti, i profeti che rivelano la legge, gli dèi, le razze umane, i progenitori, fanno tutti parte di lui».
Siamo quindi giunti ai tempi ultimi, non calcolabili attraverso metodi di misurazione umana. Vishnu che ne incarna il ritmo sarà nella prima era, quella dell’oro, bianco; nella seconda rosso; nella terza giallo e nella quarta nero. Il Kaliyuga ha quindi come colore denominante quello dell’oscurità. Ogni cosa sarà disintegrata per riportarla al giusto ordine. Ogni cosa rinascerà. Il Vishnu-Kalki annuncerà, non in termini di tempo stabilito, bensì di sua apparizione, la conclusione del processo temporale in cui le umane creature sono chiamate a vivere nell’incalcolabile tutto, riassorbito nel centro, punto ove ogni cosa tornerà a esistere. «Ogni volta» dice Vishnu-Krishna nella Bhagavat-Gita «che la Legge vien meno e l’arbitrio sorge, o tu della razza dei Bharata, allora io m’incarno in un nuovo corpo. Per proteggere i giusti, per distruggere i malfattori, per stabilire la legge, io rinasco di età in età».
Bibliografia di riferimento:
Alain Daniélou, Miti e dèi dell’India, Bur Saggi.
Ananda K. Coomaraswamy, Miti dell’India e del buddhismo, Editori Laterza
Glossario Sanscrito, a cura di Gruppo Kevala, Edizioni Asram Vidya
La Bhagavad-Gita così com’è, Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, Bhaktivedanda Book Trust
Pio Filippani-Ronconi, Magia, religioni e miti dell’India, Newton Compton editori
Renè Guenon, Studi sull’Induismo, Luni Editrice
Valentina Ferranti