I Rosa+Croce quale archetipo dell’esoterismo occidentale – Umberto Bianchi
Ontologia del Cillenio – Luca Valentini
“Innalzati oltre ogni altezza,
discendi oltre ogni profondità;
raccogli in te tutte le sensazioni delle cose create
– dell’Acqua, del Fuoco, del Secco, dell’Umido.
Pensa di essere simultaneamente dappertutto,
in terra e mare e cielo;
che tu non sia mai nato,
che tu non sia ancora embrione:
giovane e vecchio, morto e oltre la morte.
Comprendi tutto insieme
– i tempi, i luoghi, le cose: le qualità e le quantità”
(Ermete Trismegisto, Corpus Hermeticum, XI, 20)
In continuità con quanto scritto su Pagine Filosofali, crediamo sia giunto il momento di trattare sinteticamente di una Divinità che spesso si ritrova come elemento essenziale di ogni mutamento, di ogni palingenesi, di ogni vera realizzazione spirituale: ci riferiamo, precisamente, ad Hermes, il Mercurio dei Romani. Egli assume primariamente le sembianze di un potere numinoso, ma proprio in quanto potere e potenza, vedremo come il suo principio radicale possa e debba ritrovarsi negli Astri, nei Metalli, quindi nell’astrologia e nella dottrina (non a caso) ermetico-alchemica, indi nei processi di manifestazione e di spiritualizzazione del Cosmo e dell’Uomo. Il termine ermetico che viene adoperato, pertanto, va inteso nel più profondo del proprio significato, quale simbolo unitario, sintesi di domini diversi ma correlati, che attraverso i diversi mutamenti del Numen della Sapienza e della Scaltrezza ci permetteranno di accennare qualcosa circa la natura più intima della Potere Operativo per eccellenza, circa l’azione magica che solo interiormente si può manifestare e sperimentare, volendo essere il nostro scrivere, come tutti gli altri saggi da noi redatti, un’indicazione, un accenno a ciò che non può esaurirsi nell’astrattezza delle lettere, della filosofia, della parola, del pensiero raziocinante, ma che deve necessariamente compiersi virilmente e realmente nel microcosmo di ognuno, nel silenzio iniziatico della propria Opera e ciò deve essere precisato con fermezza per chiarire l’atteggiamento interiore giusto da tenere per muovere il proprio impetus nei confronti di una ricerca nel mondo iniziatico:
”est in mercurio quidquid quaerunt Sapientes: in eo enim, cum eo et per eum perficitur magisterium”
(Dom A.G. Pernety, Le favole egizie e greche, Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 1999, p. 223).
Nell’accezione corrente della lingua italiana “ermetico” sta per chiuso, sigillato e quindi sconosciuto, indecifrabile. Di converso, vi è sempre stato un modus di trasmettere emozioni e “stati interiori” tramite la poesia, l’arte, la prosa in termini “ermetici”, proprio per evidenziare il simbolismo nascosto di ciò che si è voluto o si vuole trasmettere: negli organismi iniziatici della Tradizione Occidentale questo termine assume pressocchè la medesima valenza. Nel corso della nostra trattazione, infatti, ci si accorgerà che gli aspetti prima mitico, poi astrale ed iniziatico di Hermes andranno ad assumere una valenza essenzialmente unitaria, in quanto organicamente trasmutatorio risulta essere il riferimento al Numen che viene definito “Psicopompo”, cioè conduttore delle anime, con una carattere non solo afferente, come si noterà, al mondo del post-mortem, ma anche come viva e reale forza palingenetica di un preciso percorso realizzativo. A tal punto ci rifaremo inizialmente ai diversi e molteplici miti che si riferiscono alla figura di Hermes-Mercurio, colui che si narra sia il frutto dell’unione di Zeus con la ninfa Maia, una delle Pleiadi come attestano Omero (IV Inno) e Virgilio (Eneide, VIII, 138-141), alla quale il Padre Divino fece assidue visite notturne in una grotta sul monte Cillene, donde l’epiteto di “Cillenio” per Hermes. Sin dalla nascita si manifesta la vivacità di questa potenza numinosa se si pensa come si possa riferire ai primi suoi giorni di vita l’invenzione della Lyra a tre toni (acuto, grave e medio), inventata con un guscio di tartaruga, ricoperto con pelle di bue, con due bracci fatti con corna d’ariete, tendendo su tutto delle corde fatte di budella di pecore, secondo quanto afferma Diodoro Siculo (Biblioteca Storica, Libro I.), il quale afferma, inoltre, come le tre corde dovessero riproporre in chiave armonica le stagioni dell’anno. In tale ottica si può notare come diventino significative, nella ricerca dell’armonia quale perfezionamento spirituale, l’invenzione anche della palestra per l’armonia del corpo e dell’arte dell’espressione e dell’interpretazione, ossia dell’ermeneutica.
Lo stesso storico, mettendo in stretta relazione la misteriosofia eleusina con quella egizia, realizzava uno stretto connubio tra Ermes-Mercurio ed il dio Thot, figura strettamente legata alla Dottrina ermetico-alchemica, essendo Thot il dio egizio legato alla Conoscenza Arcana, associato astrologicamente alla Luna, quindi al mondo della generazione, “psicopompo” a sua volta presiedeva al rito della pesatura dell’anima del defunto e per il tramando dei riti misterici e magici della Scienza Sacra la sua figura risultò essere strettamente connessa con Osiride, comunemente conosciuto solo come Signore dell’Oltretomba, ma principalmente essendo, secondo quella che è la riposta tradizione iniziatica, il primo dei quattro Neteru, degli Splendenti, insieme con la sorella e sposa Iside, col fratello e rivale Seth e con Neftys, compagna dello stesso, manifestazione mitica, divina e simbolica dei quattro elementi che promanano dall’Essere Uno Amon-Ra. Proseguendo, rammentiamo il successivo furto di ben cinquanta buoi dalla mandria di Apollo, custodita da Admeto, ai quali, per sviare le ricerche, il “furfante” inverte il senso degli zoccoli, affinchè le orme confondessero il fratello inseguitore. Gli animali vennero condotte nell’antro della madre, ove sacrificò due giovenche e nascose le rimanenti, ritornando successivamente, da innocente neonato, nella culla: Maia gli predisse l’ira di Apollo, essendosi avveduta dell’imbroglio. O un contadino che lo vide passare con la mandria o il volo augurale di un uccello, avvertendo Apollo sulla localizzazione delle sue bestie, lo fecero accorrere alla grotta di Maia, nella quale strappò il “pargolo innocente” dalla sua culla, per condurlo a cospetto di Zeus, per rinnovare le sue roventi accuse di furto. Davanti alla Potestà Divina Suprema, però, non era concesso mentire, neanche ad Hermes e, pertanto, ammessa l’azione furtiva lo stesso condusse il fratello Apollo presso il nascondiglio del maltolto. La sua furbizia, in seguito, lo portò a suonare soavemente la lyra, tanto che Apollo placò la sua collera e concesse allo stesso Hermes la custodia della sacra mandria – motivo per il quale era nell’antichità anche considerato divinità tutelare dei pastori -, mentre la lyra fu donata al derubato.
“Onde in Atene, tra gli altri templi di Iddii, ci fu,
in uno special portico, anche un cosidetto Ginnasio di Hermes,
essendo tradizione che le Arti, da lui inventate,
volle egli con sì grande amore, insegnarle anche ad altri,
da poter poi venir trasmesse fino ai posteri,
che, inoltre, non solo ei conduce agli Inferi le anime dei morti,
consegnandole a Caronte che le tragitti,
ma pratica, anzi e soprattutto, tra i Superi,
essendo l’interprete degli Dei”
(Parafraste Ocella, Chymica Vannus, traduzione italiana di Abraxa-Quadreracles, 1666, Edizioni Archè, Milano 1982, p. 229)
Il Cillenio fu, in origine, un dio della natura – dalla sua unione con la ninfa Driope nacque Pan -, assimilato al vento e, secondo alcuni, anche al crepuscolo: nella religiosità pre-cristiana era la divinità delle relazioni pacifiche e dei rapporti sociali, protettore del commercio, ritenuto inventore delle misure e della bilancia, e dei viaggi sulla terra e sul mare, ma anche dei viandanti, essendo raffigurato sulle colonne agli angoli delle strade, denominati non casualmente ἕρμα, che identifica un tipo di pilastro quadrato o rettangolare decorato in alto con una testa (generalmente barbuta) di Hermes ed in basso con la raffigurazione di genitali maschili durante l’erezione. La nota immagine del Cillenio nell’atto di elevarsi al Cielo con il piede ancora in contatto con la Terra, mentre è in procinto di balzare simbolicamente verso la Luce, è strettamente connessa alla figura del pilastro, alla cui base i genitali eretti sono a significare la generazione terrestre con cui si è ancora legati, e la sua raffigurazione all’apice dell’asse, cosmico ed umano, la potenza che conduce al Divino, la forza che sola può risvegliare la natura interna dell’Uomo:
”…gli antichi sapienti volevano alludere a ciò con gli oscuri segni dei loro misteri allorchè rappresentavano Ermes, l’antico, con un organo generatore sempre in attività, mostrando così che il generatore delle cose sensibili è la ragione intellegibile…”
(Plotino, Enneadi, III, 6, 19).
Sempre nell’ottica del mediatore, di colui che concilia le forze polarmente opposte del Cosmo, si deve intendere la sua relazione con il culto di Esculapio, romanizzato in Asclepio, come evidenziato nel nostro precedente scritto per Fenix, figlio di Apollo e divinità patrona dell’Arte Taumaturgica, avendo nel mito liberato Tanagra dalla peste, con il caduceo ermetico, simbolo della professione medica e delle forze contrastanti, del Maschio e della Femmina, dell’Attivo e del Passivo, delle quali bisogna ritrovare l’equilibrio, l’armonia:
”…non potersi in modo veruno giungere al desiato porto dell’humana sapienza, ned arrivare al perfetto scopo dela Magia, fin tanto…congiungonsi dunque questi due luminari, a fine che dalla congiunzione, e maritaggio di sì nobili e generosi Parenti, si generi quel glorioso Figlio, i cui Padre e Madre già disse Hermete essere i medesimi Sole e Luna“
(Cesare della Riviera, Il Mondo Magico de gli Heroi, Edizioni Mediterranee, Roma, 1986, p. 81).
In esso, la verga sacra che stringe nella mano, si ritrova la complementarietà di Zolfo e Mercurio, simboleggiati dalle forze opposte delle serpi che si intrecciano lungo la nostra colonna vertebrale, che si stringono attorno all’asse del mondo, nel simbolo sacro all’Arte Magica Egizia dello Jed o del Tao nella tradizione estremo-orientale, come espressioni di vita e morte, di male e bene, scevri da complessi sentimentali o moralistici, generati dall’essenza Una dell’Essere, che si differenzia nei gradi d’esistenza della manifestazione, correnti di differenti gradazioni potenziali che nell’interiorità umana quanto nel mondo ricercano la primordiale androginia, lottano per la riaffermazione regale del Cobra Eretto, del Drago, dell’Aquila con due teste. Hermes, inoltre, veniva rappresentato come un giovane atletico con un copricapo alato, detto petaso, con un diadema tra i capelli, con i calzari alati che gli consentivano di spostarsi rapidamente e sempre col citato Caduceo, denominato “Kerykeion”, che aveva anche il potere di indurre il sonno, sopra al quale si trova un simbolo simile a quello usato in astrologia per il segno del Toro. Indossava abiti semplici, da viaggiatore, lavoratore o pastore. Spesso era rappresentato o ricordato inserendo nelle opere d’arte i suoi tipici simboli magici, la cappa che lo rende invisibile, la borsa, il gallo o la tartaruga. Quando era rappresentato nella sua accezione di “Hermes Logios“, ovvero il simbolo della divina eloquenza, generalmente teneva un braccio alzato in un gesto che accentuava l’enfasi dell’orazione. Il suo culto era molto diffuso nell’Ellade ed il centro principale del suo culto era a Feneo in Arcadia, dove si tenevano le celebrazioni in suo onore chiamate “Hermoea“; festeggiato il 13 di Novembre dagli Ateniesi durante la Chitra.
A Roma Mercurio era essenzialmente un negotiorum omnium, anche se, per derivazione dell’Ermes greco e dell’etrusco Turms, veniva invocato in tutta la sua pienezza come nei Fasti di Ovidio o nell’Eneide virgiliana e spesso era denominato Dux manium. Numerose, inoltre, le sua avventure amorose: ricordiamo quella con la dea della fortuna Τύχη, da cui in seguito derivò il termine “hermaion”, quale sinonimo di uomo fortunato, e quella con Afrodite, dalla quale ebbe Ermafrodito, quale sublimazione alchemica delle opposte direttrici sessuali, quasi che in esso l’Eros, prima come radice materna poi come componente vivente rappresentata dalla ninfa Salmace, in questa divina unione, riuscisse a ritrovare l’origine e la prima risoluzione dell’Arte, che è congiunzione e trasmutazione “al bianco” della Diade Cosmica. A tal punto, è doveroso occuparsi della funzione principale di Hermes, che già si è potuto intuire da quanto scritto, cioè quella di Psicopompo, di conduttore di anime e su questo punto alcune e doverose dovranno essere le nostre precisazioni. Quando, in merito, ci si riferisce alla Divinità in questione la si ricollega solitamente al mondo dell’Ade, dell’oltretomba, riprendendo, come detto, alcune funzioni dell’Osiride o del Thot egizi, ma come per essi si trascura una visione più estesa, certamente più profonda della sua essenza numenica, in quanto la maestria di condurre un’anima non pone un limite al solo mondo della generazione, ma presuppone una duplice capacità iniziatica. Egli, infatti, è sia il viatico tramite cui si accede agli Inferi, nominandolo come “Ctonio”, assimilato al dio egizio Anubi, tanto da creare l’ibrido Ermanubi, sia il potere trasfigurante tramite cui in pochi hanno il diritto di riaccedere alla Luce uranica dell’Uno, come Persefone o Euridice. Possiamo notare la suddetta duplicità nei vari mitologhemi che hanno nella Divinità in riferimento un personaggio fondamentale. Il Mercurio Ctonio lo possiamo ritrovare quando a Pandora:”infuse in petto l’eloquio brillante, le menzogne e gli astuti discorsi, giusto il volere di Zeus dal cupo fragore e infine le diede voce l’Araldo divino” (Esiodo, Le opere e i giorni, 77 e ss) quando conduce Priamo attraverso le linee greche, affinchè il regnante troiano si recasse da Achille per implorarne la restituzione della salma del figlio Ettore (Iliade, XXIV, 334 ss), quando prevale l’elemento naturalistico, una potenzialità legata alla Terra, alla Natura, alla Famiglia.
Diversamente Hermes manifesta tutta la propria valenza trasmutatoria quando nei miti libera con il suo intervento l’eroe dai legami che lo vincolano e gli impediscono di slanciarsi verso il Cielo, verso la piena realizzazione di Sé. Ulisse beneficia due volte del suo intervento, presso la ninfa Calipso per richiederne la liberazione e quando, sempre all’eroe greco, fornisce un’erba magica che rendesse inefficaci gli incantesimi di Circe. Il dinamismo continuo che lo contraddistingue evidenzia la sua peculiare funzione mediatrice, di unione tra terra e cielo, tra umano e Divino, tra l’Immanenza e la Trascendenza, un’incessante emersione – si noti la radice “merg“di emergere, da cui deriverebbe il nome Mercurio – , un’instancabile maturazione personale, alchimicamente una “magistrale estrazione” o, in riferimento alla trasformazione di un Mercurio nell’altro, ciò che viene insegnata essere l‘ignificazione della Luce Astrale, un’estenuante Opera che conduce oltre i propri umani limiti, così come incessante e continua deve essere per un uomo della Tradizione, per un ricercatore della Scienza Arcana, la ricerca della Verità ed il lavoro per l’aurificazione della propria Pietra interiore. In tale ottica, illuminante risulta essere una breve, fulminea considerazione di Festugièrè nel suo studio Ermete Trismegisto:
“Tutto diventa chiaro se ci si ricorda del punto di partenza”
(A-J Festugièrè, La Rivelazione di Ermete Trismegisto – Il Dio Ignoto e la Gnosi – volume 4, Edizioni Mimemis, Milano 2023, p. 1723).
In Hermes si traduce il passaggio dal sonno profano alla veglia iniziatica – si rammenti la sua bacchetta che induceva o ridestava dal sonno -, da una condizione di umana dispersione psichica ad una stabilità spirituale, tipica di chi ha ritrovato il centramento del proprio Essere: il passaggio dal pensiero razionale e riflesso al pensiero intuitivo e diretto, in cui vi è un’espansione della propria capacità di visione, in cui si attua realmente, senza astrazioni verbali, intellettuali o filosofiche, l’antico motto operativo “in me lux facio”.
Si afferma, infatti, di un Uomo essere “mercuriale” proprio quando presenta una intelligenza viva, proprio perchè questo tipo di “vivacità” richiama alla mente l’astro velocissimo: questo tipo di intelligenza coniugata ad una buona dose di scaltrezza, intesa in termini di “sveglio perennemente“, è la dote necessaria per “avventurarsi” nel mondo iniziatico: non è casuale, infatti, che Omero sia nel suo Inno a Hermes sia nel primo verso dell’Odissea, dedicato ad Ulisse, adoperi il termine πολύτροπος, per indicare un uomo astuto, con una vivacità eccezionale, capace di esprimere, sempre ed in ogni circostanza, la propria virile disposizione all’avventura ed alla Vittoria. Tale è uno stato di autentico Realismo Magico, di mag, di super-coscienza necessaria da raggiungere per il compimento della Grande Opera Ermetica. A tal punto, riteniamo sia possibile evidenziare un altro aspetto, forse il più conosciuto ai più, che peraltro completa il quadro d’insieme della funzione poliedrica di Dux manium tra umano e Divino, tra Terra e Cielo, che la Tradizione assegna al Cillenio, come spesso lo denominava Virgilio, ricordando la terra natia, quello di Messaggero degli Dei, fissazione cosmogonica di quell’influenza spirituale che sempre, senza alcuna interruzione di sorta, dall’Ente, dal Principio derivante, costantemente discende sulla Manifestazione: spesso, sia in Occidente sia in Oriente, per tale azione vivificatrice si è usato il simbolo della rugiada celeste, di comunicazione costante tra la dimensione uranica degli Dei e la sfera mortale, naturalistica e determinata degli uomini, a voler svelare ai più attenti che anche in tale condizione vi è sempre una componete interiore e trascendente, quanto nascosta e dormiente, che è in stato d’identità con il Cielo…nell’antichità questo ruolo Mercurio lo divise con Iris!
Di quanto detto ce ne fornisce testimonianza prima la tradizione ellenica con Paride condotto dinanzi ad Era, Atena e Afrodite, affinché potesse assegnare il pomo alla più bella, e con Zeus che invia Hermes da Prometeo, affinchè questi gli confidasse la profezia secondo la quale il Padre degli Dei sarebbe stato un giorno detronizzato, consigliandolo di non prolungare inutilmente la propria sofferenza (Prometeo oppose un rifiuto in Eschilo, nel “Prometeo incatenato”). Parimenti il vate della tradizione romana, Virgilio, ci conferma il ruolo di Mercurio, quale messaggero degli Dei, quando ci narra come Giove inviasse il proprio figlio da Enea, affinchè questi non indugiasse oltre nella nemica Cartagine, affinchè simbolicamente, come espressione iniziatica del mito, l’Eroe si liberasse dai vincoli femminei e limitanti dell’Eros, simboleggiati da Didone, per librarsi verso il proprio solare ed eroico destino (Iliade, XXIV, 334 ss).
Hermes è il Nume della trasmutazione, resa autentica attraverso la chiamata:
”Ora noi non possiamo, secondo l’opinione di Ermete, ottenere la fermezza ed il vigore della mente che dalla purezza della vita, dalla pietà e dalla religione sacra, la quale purifica per eccellenza la mente e la rende divina”
(E. C. Agrippa, De Occulta Philosophia, vol. II, Edizioni Mediterranee, Roma 2004, p. 165).
(foto di testata: Pompei – Mercurio su sfondo rosso)
Luca Valentini