Sul Bestiario di Roma di Alfredo Cattabiani – Giovanni Sessa
Schopenhauer come educatore musicale – 4^ parte – Stefano Eugenio Bona
Un fiume che scorre… Nessuna arte può rappresentare con parole dinanzi ai nostri occhi lo scorrere di una massa d’acqua variamente agitata, secondo tutte le sue mille onde, ora piatte e ora gibbose, impetuose e schiumanti; la parola può solo contare e nominare scarsamente le variazioni, ma non può rappresentare visibilmente i trapassi e le trasformazioni di una goccia con l’altra… La parola enumera, nomina e descrive le trasformazioni di questa corrente, servendosi di un materiale a questa estraneo; la musica invece ci fa scorrere davanti agli occhi la corrente stessa…[1]
Abbiamo rilevato precedentemente la portata dell’estetica schopenhaueriana nell’Ottocento, ebbene tale semina prosegue nel Novecento, in una direzione precisa con De Chirico. “Se c’è un cartello che indica una direzione – togli pure quello”, sembrerebbe ribadire in quella maniera astratta e metafisica che ha prodotto mirabolanti enigmi su tela, svincolati dalle pretese dei collegamenti razionali, per cui nella cesura col passato egli cita pure molto opportunamente Nietzsche (per aver portato avanti le intuizioni del Maestro) e Rimbaud (per aver operato da Vate moderno colto dalle folgori dell’in-coscienza sociale): Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non-senso della vita e come tale non-senso potesse venir tramutato in arte, anzi dovesse costituire l’intimo scheletro di un’arte veramente nuova, libera, profonda. I buoni artefici nuovi sono dei filosofi che hanno superato la filosofia… La soppressione del senso in arte non è un’invenzione di noi pittori. Giusto riconoscere al polacco Nietzsche il primato di tale scoperta che sebbene in poesia sia stata applicata per la prima volta da Rimbaud in pittura il primato dell’applicazione spetta al sottoscritto.[2] Ma in molti a cavallo tra i due secoli passarono tra il cosiddetto pessimismo schopenhaueriano (la definizione di comodo non fa che traviare il contenuto dell’intera opera, a nostro avviso) e Nietzsche, da quella polarità “irrazionale” opposta a quella degli Hegel e dei Marx; fronti inconciliabili in lite da prima di esser riferiti su carta, sulla scorta dell’antinomia Platone-Aristotele. Nella letteratura della crisi della coscienza dell’uomo moderno i primi due sono fecondanti ad un livello ben più abissale, donando appigli esistenziali utilizzati fino a Gottfried Benn, passando per i poeti espressionisti di inizio secolo e soprattutto da Hermann Hesse e Thomas Mann, che attraverso i due filosofi percepiscono acutamente il vuoto del mondo borghese (basti pensare a I Buddenbrook e a Der Steppenwolf). Sulla superiorità della musica nei confronti del linguaggio scritto e parlato, l’eco arriva fino a Proust: E come certi esseri sono gli ultimi testimoni d’una forma di vita che la natura ha abbandonata, mi chiedevo se la musica non fosse l’esempio unico di ciò che sarebbe potuta essere – se non vi fossero state l’invenzione del linguaggio, la formazione delle parole, l’analisi delle idee – la comunicazione delle anime. È, la musica, come una possibilità che non ha avuto seguito; l’umanità ha imboccato altre strade, quelle del linguaggio parlato e scritto.[3] Ma Schopenhauer non dà notizia della musica sol come panacea per spiriti irrequieti, per lui è parte integrante del suo sistema, anzi è la sospensione del tumulto (in questo lontano dallo Sturm und Drang) delle passioni ordinarie. Vedremo ora cosa reca la verticale estetica in sé e nelle varie sfaccettature.
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Nel libro terzo, il sottotitolo reca la dicitura: “La rappresentazione considerata indipendentemente dal principio di ragion sufficiente – L’idea platonica: l’oggetto dell’arte”. L’arte è il momento in cui la vera essenza del mondo è percepita nel suo sussistere all’infuori e indipendentemente da ogni relazione, ove si contemplano le idee platoniche (e la cosa in sé kantiana), cosicché per Schopenhauer l’arte concepisce con la pura contemplazione, e riproduce poi, le idee eterne, cioè quello che vi è di essenziale e di permanente in tutti i fenomeni del mondo; a seconda poi della materia che impiega per questa riproduzione, prende il nome di arte figurativa (o plastica), di poesia o di musica.[4] Il gradino ultimo di questa scala, già in Herder e Wackenroder è la musica, ovvero il mezzo privilegiato per la comunione con l’unsichtbare, l’invisibile. Se in Wackenroder, iniziatore del romanticismo tedesco (insieme con il sodale Tieck), l’infinito era descrivibile soltanto con il cuore (una concezione che sfocerà nell’estrema conseguenza di fine Ottocento, con l’esteta Walter Pater a definire il vivere epicureo, nella somma del maggior numero di pulsazioni possibili come unica vera sapienza…), in Schopenhauer è una forma di annullamento della personalità materiale a comprendere il raptus e a volgerlo verso una netta sospensione (attimi che definisce i lucida intervalla del genio[5]), ove da soggetto si diviene gioco-giocato (tutta la parte più alta dell’estetica di Carmelo Bene è qui): Quando l’uomo cessa di cercare, alla luce del principio di ragion sufficiente, le sole relazioni degli oggetti tra loro, relazioni che, in ultima analisi, non si risolvono che nella relazione di tali oggetti con la nostra volontà; quando dunque non si preoccupa più del dove, del quando, del come e del perché e della finalità delle cose, ma unicamente e semplicemente di ciò che le cose sono; quando non permette più che la sua coscienza sia invasa da pensieri astratti e da concetti di ragione, ma consacra invece la forza del suo spirito all’intuizione, vi si sprofonda tutto; quando riempie tutta la sua coscienza della contemplazione tranquilla di qualche oggetto naturale presente, paesaggio, albero, roccia edificio, o di qualsiasi altra cosa… dimentica il suo individuo, la sua volontà, e non sussiste più se non come soggetto puro, come limpido specchio dell’oggetto (sicché l’oggetto sembri esistere da solo, senza nessuno che lo percepisca, e non sia più possibile separare il soggetto dell’intuizione dall’intuizione stessa, ma entrambi si confondano in una sola cosa, in una coscienza totalmente piena e compresa di un’immagine intuitiva unica); quando infine l’oggetto viene in tal modo a spogliarsi da ogni relazione con l’altro, e il soggetto da ogni relazione con la volontà, allora ciò che vien conosciuto non è più la cosa particolare come tale, ma è invece l’idea, la forma eterna, l’oggettità immediata della volontà in quel dato grado; e colui che è rapito in tale contemplazione, non è più individuo (l’individuo è annientato dalla contemplazione), ma assurge a soggetto conoscente puro, a soggetto che è al di là dal dolore, di là dalla volontà, di là del tempo.[6] Apono, nolente e acrono come i personaggi nel teatro dell’abbandono beniano, un esempio su tutti: il Lorenzaccio, con la s-programmazione dell’atto agito e sempre fuori storia, fuori sincrono, fuori scena come tutto ciò che eccede la rappresentazione (è il caso di dirlo) di prosa.
Arte è ricomporre il mondo frantumato, tramite il simbolo (nell’etimo di σύμβολον) della propria peculiare espressività, portando a raccolta la mente intuitiva, fase preparatoria (ma già di una qualche ri-soluzione) prima della dimensione di totale ascenso che occupa il finale del Mondo, infatti in epigrafe al Libro Quarto si riporta: “Acquistata la coscienza di sé, la volontà di vivere si afferma, poi si nega”. – Ovvero il procedimento con cui, al termine della piena coscienza artistica si esperisce una conoscenza esente da ogni relazione con la volontà…Al contrario negli individui comuni l’espressione della volontà è predominante e ci si accorge che la conoscenza non opera se non sotto l’impulso della volontà e non è guidata che da motivi.[7] L’esser uomini (e corpi, abbiamo visto) ed esperire la trappola tesa dall’autoaffermazione della Volontà, porta a riconoscere la propria caducità, che affermandosi non sarebbe altro che un dir sì alla vita biologica, mentre nella negazione (di questa affermazione) v’è uscita dal sistema della Volontà e della Rappresentazione (nell’arte solo in guisa di sospensione momentanea, tesa a divenire stato permanente nella fase successiva…).
Il senso artistico d’eccezione è sempre figlio di un distacco dal pondo biologico della volontà di sopravvivere (che trova il vittorioso esempio solo nell’eroe), per cui nell’artista ciò che, unito alla volontà, gli darebbe mera sapienza mondana, diverrà capacità di rappresentazione oggettiva e drammatica, qualora l’eccezionale preponderanza dell’intelletto lo separi dalla volontà.[8] Il vero sforzo aristocratico è questo (i restanti, lo dice espressamente, sono glebae adscripti): Solo dove l’intelletto supera la misura strettamente necessaria, il conoscere diventa più o meno scopo a se stesso. Perciò è un fatto del tutto anormale che in un uomo l’intelletto lasci la sua naturale destinazione, dunque il servizio della volontà e quindi l’apprensione delle mere relazioni fra le cose, per occuparsene in modo puramente oggettivo. Ma proprio questa è l’origine dell’arte, dalla poesia e della filosofia, che dunque sono prodotte da un organo originariamente non destinato ad esse.[9] In maniera icastica e definitiva, senza timore di batter troppo su questo punto (come del resto fa A.S. per tutto il libro terzo): La conoscenza che obbedisce al principio di ragion sufficiente costituisce il sapere razionale, e ha valore ed utilità solo nella vita pratica e nella scienza: quella che è in grado di fare astrazione da tale principio è la contemplazione del genio, ed ha valore ed utilità soltanto nell’arte.[10]
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L’excursus tra le arti porta dall’architettura alla tragedia, prima del salto (è il caso di nominarlo così) nella dimensione della musica. – Essa è totalmente isolata dalle altre arti. In essa non riconosciamo più la copia, la ripetizione di qualche idea degli esseri di questo mondo…Al pari di una lingua universale oltrepassante in chiarezza la stessa evidenza del mondo intuitivo, senza dubbio dobbiamo vedere in essa ben più di un puro “exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi”, come la definiva Leibniz.[11] Per Schopenhauer il famoso passo “La musica è un esercizio inconsapevole di metafisica, nel corso del quale la mente non sa di filosofare” non considerava che la scorza ed una possibilità passiva, comunque sottomessa ad un sapere consapevole; nella sua metafisica la mira è spostata in alto: La musica non è dunque, come le altre arti, una riproduzione delle idee, ma è una riproduzione della volontà stessa, una sua oggettivazione al pari delle idee. La volontà che si oggettiva nelle idee, è una e identica con quella che si rivela nella musica (la differenza tra i due casi essendo soltanto di forma).[12] Il supremo momento estetico in cui si intuisce l’essenza del mondo, attraverso armonia e melodia, prepara l’asceta che deve oltrepassare il fenomenico ed assorbirsi in contemplazione delle idee attraverso la musica (proprio per la loro stretta parentela): il perfetto tipo umano è un Wagner-sacerdote, più che un Mainländer depresso suicida. Architettura e musica formano gli estremi nella classificazione delle arti, lo specifica nei Supplementi al terzo libro – Metafisica della musica: L’architettura è soltanto nello spazio, senza alcun rapporto con il tempo, e musica è soltanto nel tempo, senza alcun rapporto con lo spazio. Dalla mera sensazione di questa analogia è nata l’audace e spiritosa definizione secondo la quale l’architettura sarebbe musica congelata.[13] Ad ogni branca corrisponde una determinata Idea: ogni tipologia d’opera è epifania in cui si esprime il relativo ambito ideale. Per esempio nell’architettura si manifesta la gravità, la coesione, la resistenza: Il tema specifico dell’architettura è costituito dalle idee dei gradi inferiori della natura, ossia dal peso, dalla rigidità e dalla coesione e non, come si è ritenuto finora, dalla forma regolare, dalla proporzione e dalla simmetria, che sono principi geometrici, proprietà dello spazio, ma non idee, e non possono essere perciò il tema di un’arte bella.[14] Essendo poi l’architettura la prima nella scala, il crinale per cui può esser creazione disinteressata (ovvero svincolata da scopi) è sottile e se essa rimane lotta tra materia e forza o tra rigidità e peso, non è arte. Poi altra problematica: in architettura e in scultura non si darebbe nessuna linea di progresso ma l’aspirazione all’ideale si identifica con l’imitazione degli antichi[15] – quivi il moderno è particolarmente incapacitato a rilanciarsi, addirittura le possibilità estetiche di queste arti (soprattutto l’architettura, possiede per Schopenhauer potenziale intrinsecamente limitato) sarebbero già state esaurite dagli antichi…Ad ogni modo la forbice che si crea partendo dall’architettura e che va a finire nella musica è determinata dal grado di utilizzazione del dato materiale solido, evidente nel processo di formazione dell’opera, dalla netta struttura di un ponte alla suprema melodia di Mozart v’è tutta la gamma, per cui si può iniziare a fondere l’Io vero con un al di là del principio di Volontà e Rappresentazione. In architettura si può ancora parlare di scopi pratici e di Volontà legata al quotidiano, con la musica absoluta si opera il definitivo oltrepassamento intuitivo.
La pittura esprime le Idee del regno vegetale e animale, pura esplosività ove hanno maggior peso l’espressione, la passione e il carattere…[16] L’operazione “trasmutatoria” che opera il pittore è quella che dalla vista come pura sensazione, si porta all’intuizione e traduce l’esterno in una interiorizzazione, per non riportare su tela un commento al fenomenico, perché quando è arte la pittura è riconducibile alla capacità posseduta dal pittore di separare nettamente ciò che alla vista è pura sensazione, ossia l’affezione della retina, dalla sua causa, ossia dagli oggetti del mondo esterno, la cui intuizione nell’intelletto ha origine soltanto a seguito di quella sensazione.[17] Un quadro che potremmo riportare nell’ottica della metafisica della musica è quello del Böcklin:[18] l’unica corda con cui la morte suona il violino possiede il suono più grave (è possibile, se non molto probabile, una chiara citazione schopenhaueriana), quello più confacente al ritorno all’inorganico…Mentre lo sguardo del pittore è teso, eppur accettando con attenzione tutto quel che può dire e dare la suonatrice…Come per non cedere alle lusinghe dell’annientamento, provato, egli fissa intensamente un’uscita, che poi è la vera e propria distruzione di quell’ultima corda, andando al di là. Le corde della volontà devono spezzarsi e quella ancora rimasta, portatrice della gravitas, permane fino al “salto”: quando gli strumenti (di ogni tipo) non bastano più. Precisamente quello che avviene anche in un altro quadro-simbolo per l’estetica schopenhaueriana: nell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, ove Lei-musica, non la suona più ascendendo, gli strumenti (di cui è la santa protettrice) atti a riprodurre vengono calpestati come volgare mimesi. Nessuna riproducibilità tecnica può rendere lo stato di realizzazione, lì si è a contatto con la scaturigine del suono e lo si vibra.
Nella scultura si oggettivano le Idee che presidiano il corpo umano, ove la proporzione e la grazia sono l’epifania del καλός, sottratto al gravame del blocco solido, la cui forma finale è il quid archetipico che fin da principio l’artista vede, al di là della materia: La scultura esige necessariamente, se non sempre la bellezza perfetta, almeno la forza e la pienezza dei corpi.[19] Schopenhauer sottolinea anche la direzionalità della volontà nelle diverse fasi storiche, rappresentate nell’essenza da una o l’altra arte, per cui fa questo esempio: La scultura appare adatta per affermare la volontà di vivere, la pittura per negarla: si spiega così perché la scultura sia stata l’arte degli antichi e la pittura quella dei tempi cristiani.[20]
Nella poesia troviamo le Idee dell’intera natura (il Goethe del Divano concorda), che vanno esperite e sublimate attraverso un vissuto molto più pregnante e onnipervadente, rispetto alle arti precedenti, visto che nel poeta la conoscenza della natura umana, procede nell’essenziale a priori ed abbisogna della pura esperienza.[21] Poesia come espressione del cuore dell’Uomo e poeta come vero specchio della Natura: tramite questa riflessione delle immagini della vita sulla superficie dell’anima ci saranno vari livelli di espressione, e per questo, ci dice Schopenhauer, è arte dalle infinite variazioni, a seconda della pura intuizione della natura umana, che è facoltà di pochissimi intuitivi che non scadono nella rappresentazione (quindi tra le righe, il filosofo ci fa comprendere come siano inutili le letture nozionistiche di tomi e tomi sulle situazioni umane più insignificanti…). Ma l’aulico cantore in versi deve trasformarsi nell’auleta sonatore, visto che nella poesia non si è ancora nello stadio di libertà proprio della musica.
La gerarchia in cui sono poste le arti è impostata su criteri metafisici, esattamente come all’interno della musica stessa, per le corrispondenze e ciò che relativamente si scatena in eggregore musicale di un tipo piuttosto che di un altro: Nei suoni più gravi dell’armonia, nel basso fondamentale, io riconosco i gradini inferiori di oggettivazione della volontà: la natura inorganica, la massa planetaria.[22] La pulsazione del basso reca in sé un senso di gravitas che è terrea concrezione, quel che possiamo plotinianamente chiamare assenza di energia, che ritorna piena, sempre più audace tramite suoni acuti, mobili, d’altra parte sorti come volute interminabili da quel basso fondamentale, cifra essenziale e primitiva da cui sviluppare una vera e propria fuga, appunto, per poter parlare di musica absoluta, slegata: depensato suono senza concetto, che prepara l’uscita totale dalla Volontà. È quindi nei momenti di aulica tessitura della sinfonia, che si slega il peso della Necessità. Il basso fondamentale è dunque, nell’armonia, ciò che nel mondo è la natura inorganica, la materia più bruta, in cui tutto riposa e da cui tutto nasce e sviluppa.[23] La musica sfiancante sui bassi è come lo schianto, in cui precipita il primo gettito materiale del Silenzio (unione nirvanica di tutti i suoni), che nel suo riverbero può tornare ad esser liberato una volta esclusa la sua volontà di sopravvivenza materiale – data proprio dalla pulsazione continua. Il suono che travalica questo status è l’armonia angelica, che può essere attivazione una volta-noi la musica, ed è il precipuo discorso che Carmelo Bene mutua dal Maestro tedesco…Quando si riflette sull’estetica beniana, nell’ascoltarlo circa il rapimento della musica nell’estasi di Santa Cecilia, come sul trionfo della levitas in Rossini, torna il calco preciso di A.S (insieme a dei passaggi quasi a memoria, spacciati per sue proprie riflessioni…): è vera musica leggera ciò che si svincola del tutto dalla pretesa assurda di una posizione di “commento” musicale al testo, volgarità che appunto viene superata in quel rintocco di grazia propria al gaudente musicista italiano.
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La struttura in cui si sostanzia la dynamis interna della musica, inoltre è la stessa che sovraintende l’Armonia come legge cosmica tra gli esseri…Data una volta per tutte come sovra-spartito su alcuni toni, non modificabile dalla cacofonia di un’umanità che tutto fa, tranne rispettarla: Gli intervalli determinati della gamma sono paralleli ai gradi determinati di oggettivazione della volontà, alle specie fisse della natura. Le deviazioni dalla regolarità delle proporzioni aritmetiche fra gl’intervalli, prodotte sia dalla tempera della scala, sia dalla scelta del tono, sono analoghe alla deviazione dell’individuo dal tipo della specie, anzi, le dissonanze impure, quelle che non seguono alcuna regolarità d’intervallo, si possono paragonare ai mostri risultanti dall’incrocio tra due specie di animali, oppure tra un animale e l’uomo.[24]. La visione della gerarchia è nell’effluvio euritmico (nell’etimo, traboccante gioia di ri-conoscenza) e se la musica in toto mantiene pur un rapporto analogico col fenomenico, avremo un determinato corollario: Le quattro voci dell’armonia, ossia basso, tenore, contralto e soprano, oppure suono fondamentale, terza, quinta e ottava, corrispondono ai quattro gradini della scala degli esseri, ossia ai regni minerale, vegetale, animale e all’uomo[25]. Queste quattro modalità espressive fondendosi nel magma della sinfonia sono l’opera d’arte totale e tra Beethoven e Wagner, la musica nella lettura-chiave schopenhaueriana è esplosione terminale della civiltà occidentale.
Note:
[1] Wilhelm Heinrich Wackenroder, Scritti di Poesia e di Estetica, Sansoni, Firenze, 1934, p. 166
[2] Febbraio 1919 – ha luogo a Roma la sua prima mostra personale alla Casa d’Arte Bragaglia. In quell’occasione pubblicò lo scritto Noi metafisici su «Cronache d’attualità», dal quale traiamo questi passaggi significativi.
[3] Alla ricerca del tempo perduto – La Prigioniera, Mondadori, Milano,1989, , pp. 666-667
[4] Il Mondo, Op. cit., p. 272
[5] Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena II, Adelphi, Milano, 1983, p. 72
[6] Ibid. p. 264
[7] Ibid., p. 277
[8] Ibid., p. 1287
[9] Parerga II, Op. cit., p. 95
[10]Ibid., p. 273
[11] Ibid., pp. 370-371
[12] Ibid., p. 373
[13] Ibid., p.1330
[14] Ibid., p.1278
[15] Ibid., p. 1282
[16] Ibid., p. 1285
[17] Ibid., p. 1288
[18] Autoritratto con la morte che suona il violino, 1872, Alte Nationalgalerie, Berlino
[19] Ibid., p. 1285
[20] Ibid.
[21] ibid., p. 1286
[22] Ibid., p. 373
[23] Ibid., p. 374
[24] 1323
[25] Ibid., p.1322.
Stefano Eugenio Bona